«La svolta buona è farsi prete». Così su Il Fatto Quotidiano (martedì 18) s'inizia un prezioso articolo in cui la scrittrice e sceneggiatrice Daniela Ranieri spiega perché «l'unico porto franco» per i «600mila giovani italiani che cercano un lavoro» è la «carriera ecclesiastica»: «Vitto e alloggio gratis, stipendio dignitoso, esenzione da tasse sulla casa, alloggio in un convento in stile gotico sulla Via dei Laghi [Castelli romani], riposo al fresco in un'ombrosa sagrestia, tranquilla lettura nella penombra dei chiostri…». Anche il confessionale è nel conto: «Quanti spunti di biografie nelle confessioni!». Tra i vantaggi della carriera c'è anche la possibilità di «abiti a loro modo eleganti, a volte persino preziosi». C'è anche qualche inconveniente: «Alzarsi all'alba per le preghiere, mancare agli anticipi di campionato per il rosario e i vespri, avere a che fare con estreme unzioni e feretri, ma quando volevate fare il chirurgo non sapevate di dover trattare cadaveri?» e soprattutto «sorridere per vendere un prodotto in cui non si crede». Ho considerato “prezioso” l'articolo per tre motivi. Il primo: raramente capita di leggere un documento così ricco dei peggiori contenuti del pensiero anticlericale. Il secondo: il 18 cominciava su Rai1 la storia di don Peppe Diana, il giovane prete di Casal del Principe ucciso dalla Camorra (capita, nella carriera ecclesiastica: Puglisi, Romero…). Il terzo motivo: quattro pagine prima Il Fatto ne dedicava una al suo martirio: «Don Peppe, un esempio per i ragazzi». NON ODIO MA PAURA«La paura e l'omosessualità dei teens» (cioè degli adolescenti) è il titolo di un'inchiesta del Fatto sui «ragazzi che si confrontano col sesso» (domenica 16). Sono due storie di autentica omofobia, cioè della paura (in greco “fóbos”) che specialmente i giovani hanno di se stessi e dei loro uguali quando si scoprono omosessuali. Il vero significato di “omofobia” (parola nata nel mondo gay) è paura, non odio e spiega la sofferenza che questa condizione può causare. Racconta Alessandro, 14 anni, liceo Berchet, Milano: a scuola «ho avuto paura a dirlo, non ero pronto». E Tommaso, 17 anni: «Io rifiutavo il pensiero, schiacciavo dentro di me ogni impulso, ero terrorizzato che gli altri sapessero […] Si pensa che il coming out (il dichiararsi gay) basti per stare meglio. Invece io ho cominciato ad avere attacchi di panico»: un vero dramma perché poi il panico divenne depressione. «La mia omosessualità crea problemi anche in famiglia e io non voglio essere un problema[..] Mi sento completamente inadeguato. Non sono mai stato con nessuno». E alle amiche che insistono per accompagnarlo in un locale gay, risponde: «Perché devo andare in un posto pieno di sconosciuti, spesso molto più grandi di me? Io non me la sento. Soprattutto per la mia più grande paura: che non succeda proprio niente. Che la vita passi senza che io la viva». Ha ragione la Chiesa quando dice: «La condizione omosessuale costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza […] Si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (CCC, 2358). DOMANDAA una lettrice di "D", la rivista femminile di Repubblica (sabato 15), lo psicanalista Umberto Galimberti risponde: «A che serve avere un Dio? Non mi chiedo se Dio esiste o no, ma come è venuta al mondo l'idea di Dio?» Suggerimento: potrebbe essere stato Dio a fargliela avere. Che è anche una risposta alla non-domanda.