La vita “non edificante” di Arthur Rimbaud somiglia a quella di tutti
Tradotto da Gian Luca Spadoni e pubblicato per sua iniziativa, esce ora da Castelvecchi il libro di Benjamin Fondane Rimbaud la canaglia (pagine 182, eur0 17,50). Titolo provocatorio che il poeta, credo, avrebbe approvato e che il biografo giustifica nella prefazione con il suo rifiuto delle biografie «sublimi» e in sostanza falsificanti. Invece: «un cumulo di cose pietose, tale è la biografia di Rimbaud, tale è quella di tutti». Fondane avverte subito il lettore che non esclude affatto le vite «riuscite, trionfanti, coronate di successo» ma «che miseria!». Se il biografo è questo, bisogna dire che Rimbaud era lo scrittore destinato a lui. Scrive Fondane: «Non bisogna confondere la verità con l’edificazione […] il ruolo del biografo non è quello di affidarsi ai testi e di considerarli come sacri, ma di fare suoi i problemi, di assumerne l’esperienza personale». Dunque per Fondane un’esperienza deliberatamente rischiosa. Se geni come Dostoevskij, Baudelaire, Kierkegaard hanno rischiato anche per noi, sfidando fallimento, miseria, angoscia e autodistruzione nella loro vita, avvicinarsi a loro è possibile solo a prezzo di rischi analoghi. Se così non è, biografo, critico e studioso non sono che funzionari, burocrati dello Spirito e dell’Ideale, che nominano di continuo senza sapere cos’è. Rimbaud scelse precocemente la sua strada: scandalizzare, fare la canaglia, offendere la borghesia in cui era nato, farsi disprezzare pur di seguire la sua «ambizione smisurata», il suo «disgusto universale». Dopo le incursioni poeticovisionarie nelle più temibili dimensioni della mente, dopo aver reinventato fino agli estremi limiti l’esperienza poetica moderna, dopo la pubblicazione nel 1873 di Una stagione all’inferno, già a diciannove anni sceglie il silenzio: «Basta con le parole!». Brucia quello che ha pubblicato e si rimette a viaggiare: Vienna, Italia, Stoccolma, Olanda, Cipro e infine Africa. Nausea dei luoghi, delle società, dell’Europa, di se stesso. Il libro di Fondane ha un pregio raro: segue appassionatamente Rimbaud dovunque lo conduca e fa di tutto per non tradirlo.