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La vita diritto inviolabile: limpida via della Consulta

Stefano De Martis domenica 6 marzo 2022
La Corte costituzionale ha depositato il 2 marzo la sentenza con cui ha dichiarato inammissibile il quesito referendario sull'omicidio del consenziente. Il dispositivo era stato già reso noto con il comunicato del 15 febbraio, ma vale la pena tornare sulla decisione della Consulta non solo per la sua intrinseca rilevanza, ma anche per l'interesse che suscita la lettura del testo integrale delle motivazioni.
A chi continua a ripetere polemicamente che la materia del quesito non è tra quelle per cui la Costituzione esclude esplicitamente il ricorso al referendum abrogativo, la Corte ricorda ancora una volta che sin dal lontano 1978 essa «ha costantemente affermato l'esistenza di valori di ordine costituzionale... da tutelare escludendo i relativi referendum, al di là della lettera dell'art. 75». In base a una giurisprudenza ormai ultraquarantennale non possono essere sottoposte a referendum abrogativo le leggi che risultano determinanti per l'efficacia di organi o princìpi garantiti dalla Costituzione. Come nel caso in questione, in cui il quesito referendario, sottolinea la sentenza appena depositata, viene «a incidere su normativa costituzionalmente necessaria» e per di più in rapporto a «un valore che si colloca in posizione apicale nell'ambito dei diritti della persona». La Corte, citando innumerevoli suoi pronunciamenti, sottolinea infatti che «il diritto alla vita è da iscriversi tra i diritti inviolabili», quelli che appartengono «all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana». Anzi, è «il primo dei diritti inviolabili dell'uomo, in quanto presupposto per l'esercizio di tutti gli altri», e da esso discende «il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all'individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire».
Gli argomenti e lo stesso tenore letterale delle proposizioni della Consulta sono impegnativi e i quindici giudici ne hanno tratto le conseguenze bocciando il quesito referendario in quanto l'eventuale abrogazione del reato di omicidio del consenziente avrebbe privato l'ordinamento della «tutela minima» costituzionalmente dovuta al «bene della vita umana» e «la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene». «Vietando ai terzi di farsi esecutori delle altrui richieste di morte, pur validamente espresse», sostiene la Corte, «l'incriminazione dell'omicidio del consenziente assolve, in effetti, come quella dell'aiuto al suicidio, allo scopo, di perdurante attualità, di proteggere il diritto alla vita soprattutto – ma occorre aggiungere: non soltanto – delle persone più deboli e vulnerabili, in confronto a scelte estreme e irreparabili, collegate a situazioni, magari solo momentanee, di difficoltà e sofferenza, o anche soltanto non sufficientemente meditate». Sappiamo bene, tuttavia, che nel secondo caso, quello dell'aiuto al suicidio, nel 2019 giudici costituzionali hanno stabilito la non punibilità in alcune circoscritte ipotesi e condizioni. In Parlamento si sta discutendo la legge che dovrebbe recepire le sollecitazioni della Corte e la sentenza che riguarda la «figura finitima» dell'omicidio del consenziente potrebbe fornire spunti di riflessione utili a percorrere coerentemente lo stretto sentiero aperto dai giudici della Consulta.