«Il momento attuale è particolarmente penoso nella storia dell'umanità». Con questa frase solenne George Soros, uno dei maggiori esperti di denaro della terra, apre un articolo uscito sul Sole 24 Ore domenica scorsa (“Intrappolati nella Rete dei big tech”). Quando un individuo così ricco e potente si mette a parlare da umanista, vale la pena di tenere le orecchie aperte. Poche righe più avanti, dopo i nomi di uomini politici pericolosi come Vladimir Putin e Donald Trump, arriva, ancora più sonoro, il secondo colpo: «È a rischio non solo la sopravvivenza della società aperta, ma anche quella della nostra civiltà». L'allarme dunque è lanciato nel modo più radicale. Ma qual è il fenomeno sociale, culturale, politico, individuato da Soros come causa di una tale catastrofe annunciata? Un certo blando perbenismo italiano, amante della moderazione e dell'ottimismo a tutti i costi, evita di compromettersi con dichiarazioni, toni e diagnosi come quelle di Soros. Il dogma edificante del progressismo è che il futuro è nella tecnica e la tecnica è di per sé uno strumento benefico nelle nostre mani, da cui non potranno che venire benefici e benessere, efficienza, democratizzazione, incremento culturale e comfort. Il quadro tracciato da Soros sembra meno vacuo e più realistico. La sua critica al ruolo giocato oggi da Internet e dai suoi «colossi monopolistici» Google e Facebook, che «si considerano i padroni dell'universo», prevede pericoli sia politici e geopolitici (un'alleanza, soprattutto nella Russia di Putin e nella Cina di Xi Jinping, fra leader dittatoriali e grandi monopoli digitali) sia culturali e psicologici: «i social media ingannano gli utenti manipolando la loro attenzione, indirizzandola verso i loro scopi commerciali e creando una sorta di dipendenza dai servizi forniti» che si rivela «dannosa soprattutto per gli adolescenti». Se «qualcosa di potenzialmente irreversibile sta accadendo all'attenzione umana nella nostra era digitale [...] i social media stanno di fatto inducendo le persone a rinunciare alla propria autonomia». Quella «libertà della mente» che nell'Ottocento John Stuart Mill riteneva necessaria alla liberaldemocrazia, «una volta perduta» i nativi digitali «potrebbero non riuscire più a riconquistarla». Si annuncerebbe così «una rete di controllo totalitario», conclude Soros, «che nemmeno George Orwell avrebbe immaginato». Di fronte ai nuovi media informatici planetari, la politica sta diventando, nello stesso tempo, più impotente e più irresponsabile. Ma Soros, benché americano, vede oggi nelle politiche dell'Unione Europea e soprattutto dei Paesi nordici, una migliore difesa della società e del lavoro umano dagli abusi di monopoli che tendono a sottrarsi a ogni controllo.