«Parla. Dimmi i nomi di questi traditori». Il ragazzo era per terra nel sangue. Una frusta gli aveva piagato la schiena e la sua pelle era volata via a lunghe strisce. Ma non parlava. «Parlerai domani», disse il suo aguzzino portando le mani alla cintura della sua divisa dove era scritto "Gott mit uns". Quel dio delle guerre e delle vendette che in ogni tempo la ferocia dell'uomo ha inventato per proteggere se stesso dalla tentazione di usare la ragione e la pietà. Il ragazzo aveva da poco passato i vent'anni, teneva alla vita, ma non conoscendo ancora quanto fosse preziosa e come rispondesse a un dono inestimabile, pensava che non era difficile lasciarla andare e, senza sentirsi eroe, offrirla sull'altare della lealtà. Venne gettato a terra in una stanza umida e oscura. Niente gli venne risparmiato per giorni e notti finché i suoi aguzzini lo scambiarono con uno di loro che, dalla parte avversa, era stato preso prigioniero. Fuggire, fuggire lontano da quella prigione, prendere un mezzo e poi scendere e prenderne un altro in direzione opposta per far perdere le sue tracce e poi ancora una vita alla macchia e nessuno che potesse curare le sue piaghe. Aveva salvato i suoi amici che dormivano sulle montagne, che sparavano per difendere se stessi e pagare la nostra libertà. Aveva novant'anni quando era stato dimenticato in una casa di anziani perché non serviva più a nessuno. La troppa facilità con la quale aveva sempre regalato ogni suo bene senza fare i conti con la propria vecchiaia gli aveva tolto ogni possibilità di mantenere con le proprie forze una vita normale. Nella casa di cura passava il suo tempo su di una poltrona, a volte camminando piano nella sala. Un solo amico lo andava trovare. Il figlio mai. Lo trovai un giorno un po' assente, con lo sguardo perduto in un passato che non ricordava, in un avvenire che sentiva di non avere più. Scusami, Gino, ora devo andare, gli dissi prendendo le sue mani tra le mie. «Io, mi rispose, quando potrò andare?». «Presto», dissi, sapendo di mentire. Andai via in fretta. Oggi è nel cimitero di un paese che non era il suo. È già notte, le tombe sono rischiarate dai lumini che la gente ha acceso. Inutilmente cerco il suo nome. Nel buio c'è un mucchio di terra rialzato dal pavimento del cimitero, senza una croce, senza una lapide che ricordi il suo nome, senza fiori. Con la pioggia la terra si disfa e perde forma. Ma eri tu quello che taceva sotto la furia degli aguzzini? Eri tu che amavi la libertà e la patria e per esse mettevi a rischio la tua vita? Eri tu che non hai chiesto mai un compenso per il tuo sacrificio anche se il tuo nome è sulle pagine dell'enciclopedia della Resistenza? Allora è a te e ad altri come te che devo la mia libertà? Questa terra scura così povera, così nuda è tutta la riconoscenza che sappiamo darti? Forse in primavera gli uccelli lasceranno cadere qualche pagliuzza sfuggita al loro nido e le loro grida per il nuovo sole riempiranno anche il tuo pezzo di cielo.