Sconfitti i Pompeiani a Munda Cesare riformò le istituzioni statali, per la cui corruzione la libertà di tutti si era mutata a poco a poco in licenza di pochi. Molti anni dopo Tacito giudicò: «Che tutto il potere fosse conferito a un solo fu interesse della pace». Conservò di nome i magistrati, trasferiti in mano sua i loro poteri: fu nominato dittatore con potere tribunizio e censorio. Si diede il nome di Imperatore che, tratto dalla vita militare, designava ora anche il diritto di amministrare lo stato e quello giudiziario. Pensava che questo titolo sarebbe stato meno odioso alle orecchie dei cittadini di quello di re, ma molti usi accolse dai re che avevano diviso tra loro l'impero di Alessandro: volle che la sua effigie fosse impressa nelle monete; fece erigere una statua marmorea; nelle cerimonie sedeva su un trono regale ed aveva i consoli a lato; aumentò i senatori, aggiunti alcuni che nella guerra civile avevano seguito la sua parte. Nella cura dell'erario e nell'amministrazione delle province fece sì che si usassemoderazione là dove ogni giorno si scoprivano illeciti: e di ciò le orazioni di Cicerone contro Verre sono testimoni fedeli. Spinse i suoi occhi al di là delle mura dell'Urbe fino all'impero che sperava sarebbe durato per secoli. Diminuì le frumentazioni alla plebe urbana, promulgò leggi sul lusso, aiutò coloro che erano in difficoltà per i debiti, fondò colonie e concesse ai municipi che usassero liberamente di leggi e magistrati propri, accolse nella cittadinanza tutta l'Italia. Se ci chiediamo per quali cause l'Impero Romano sia durato tanto a lungo, benché spesso battuto da onde tempestose, troviamo risposta nelle riforme cesariane. Il nome romano che era stato di una sola città divenne il nome del mondo intero. «Hai fatto una sola patria per le genti sparse / e ciò che prima era un mondo lo hai reso una città» (così scrisse Rutilio Namaziano). Così le ultime lodi di Roma le composero, al tramonto dell'impero, poeti che sappiamo esser nati lontanissimo dalla città, ma che avevano la città come patria.