Rubriche

la traduzione del 25 marzoFilastrocche e proverbi

Luigi Castagna martedì 1 aprile 2014
Le tragedie recitate nei teatri certo attiravano orecchie ed occhi degli spettatori. Chi sapeva leggere volentieri leggeva poemi epici sulle vicende militari di Roma. Ma quali e come erano i versetti, i proverbi, le filastrocche o le massime di saggezza popolare che, tramandati a memoria, si cantavano presso il popolo privo di cultura? Penso che mercanti servi, fornai, lavandai e (perché no?) balie nelle loro stanzette, e adolescenti al Campo Marzio, nelle bettole o sotto i portici fossero soliti dirsi l'un l'altro proverbi e adagi per aiutarsi a commentare più facilmente i fatti nuovi che ogni giorno si verificavano a Roma o anche per scambiarsi consigli e formule popolariper rimediare ai dolori del corpo malato con pozioni o erbe. La filosofia, per così dire, di questi pensieri popolari dimostrava che non c'era mai nulla di nuovo sotto il sole: " Ciò accade oggi, ma sempre fu così anche prima allo stesso modo".E questo ispirava tranquillità. Nei proverbi i nostri antenati usavano i verbi al tempo perfetto per esprimere la consuetudine del fatto e si servivano delle figure della retorica per dare l'impressione che chi diceva i proverbi non li creasse di suo all'impronto ma li traesse da una qualche fonte autorevole. Voglio farvi un esempio: e cominciamo dai neonati e dalle loro balie. Canta una nutrice nella sua stanzetta tenendo tra le braccia un bimbo o una bimba e una tenue luce si sparge dal lumino ad olio: "Lalla lalla lalla o dormi o succhia il latte". Penso che la lettera -l-, che si chiama liquida, così ripetuta infondesse quiete e pace ai bimbi, così che potessero suggere il latte o immergersi nel sonno. E questa canzoncina non l'ho inventata io, ma l'ho letta in un commentariolo antico alla terza satira di Persio. I Romani, specialmente i ricchi, che abbondavano quotidianamente di cibi raffinati, come accadde ad Ennio, spesso venivano a soffrire della dolorosa malattia della podagra. Per questo la medicina popolare suggeriva di recitare questo tricolon cioè questa sentenza suddivisa in tre membri: "Terra tieniti la peste, salute resta qui, nei miei piedi". La terra che è invocata perché sempre a contatto coi piedi riceve all'imperativo futuro l'ordine di tenersi il dolore dei piedi, e penso che questo lo dicesse il malato battendo i piedi. Poi il malato stesso invoca la salute che entri nei suoi piedi malati.