Il cuore della casa era quella stufa di terracotta: grande, a elementi sovrapposti. Si cominciava ad accendere nella stagione delle partenze: la domestica portava ceste e ceste di legna. Il soggiorno era in fondo alla casa: aveva due finestre su un cortile lastricato, il cui alto muro di cinta era tutto ricoperto da un rosaio rampicante. Presso la stufa mia madre leggeva il giornale, rammendava, riceveva visite. Sì, il profilo di lei, contro quelle finestre: scendeva il crepuscolo e si tardava ad accendere la lampada. Era lì la meta del ritorno. Ma il crepuscolo era anche l'ora delle partenze. Sulle avventurose e disperate corriere del tempo (seconda guerra mondiale). Venivano giù a pezzi da ogni parte, malgrado i mille rattoppi. Stipate di anime purganti che si schiacciavano sui finestrini; sovraccariche di poveri inverecondi bagagli. Sputavano gas mefitici quando, a ogni fermata, l'autista controllava il motore. E impiegavano non so quante ore per giungere, sulle dissestate strade invernali, dal paese alla città (meno di quaranta chilometri). Non avevano orari, s'intende. L'attesa si prolungava indefinita davanti a un bar (chiamiamolo bar): alla sera succedeva la notte, da quanto era acceso il lampione, scosso dal vento; cresceva il freddo, il fango s'induriva sotto i passi.