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La storia dei “magliari” è sempre attuale

Goffredo Fofi venerdì 22 settembre 2017
Qualche anno fa, due animosi ragazzi napoletani animatori di un “centro sociale” nel cuore della città, a Montesanto, che avevano battezzato DAMM (che stava per Diego Armando Maradona Montesanto), erano appassionati di cinema e innamorati della loro città e della sua parte meno evidente, a-turistica, folklorica. Erano anzi interessati al suo folklore più autentico e sofferto, e colsero l'occasione di una trasmissione radiofonica di Radio Tre proponendo a Lorenzo Pavolini un'inchiesta in più puntate su un argomento che poteva apparire bizzarro ed era certamente insolito, curioso: la vita dei magliari. Uno di loro, Pietro Marcello, aveva avuto per padre un magliaro, e ne sapeva; col tempo è diventato uno dei migliori giovani registi del nostro cinema (La bocca del lupo, Bella e perduta). L'altro, Marcello Anselmo, è oggi un giovane storico di talento. Le interviste che raccolsero tra i magliari di Napoli e dintorni, opportunamente montate per temi, sono oggi raccolte in un volume della Donzelli, Storie di magliari. Mestieranti napoletani sulle strade d'Europa (26 euro, troppi per le 152 pagine del libro), e Anselmo che ne ha scritto un'esauriente introduzione inquadrando il fenomeno dei magliari nell'Italia e nell'Europa del dopoguerra ché i magliari, che non vendevano solo stoffe, si diffusero dall'Italia alla Germania e in genere all'Europa del centro-nord, anche prima della guerra in Italia e anche dopo il boom (per esempio, per un breve tempo e con gran successo, nell'Est tedesco dopo la caduta del Muro). Espressero un'altra delle tante “arti d'arrangiarsi”, tra capacità professionale e capacità di imbrogliare, praticate da uomini che, in un paese pieno di disoccupati, dovevano pur vivere e pensare alle famiglie e che si “industriarono” per riuscirci («faccio l'industriale», cioè «m'industrio», ci dicevano certi disoccupati degli anni 60). Picari e avventurosi, i magliari ebbero anche l'onore di un film importante e piuttosto bello, diretto in Germania dal napoletano Francesco Rosi e interpretato da Alberto Sordi, un non-napoletano, nel 1959. I tanti versanti di queste esperienze sono mirabilmente raccontati dalle interviste con personaggi affascinanti, che hanno i nomi che si davano al tempo del loro esercizio, Mezzalingua, Il Soldato, Bella 'Mbriana, Il Gastarbeiter, il Persuasore..., in un insieme formidabile di storie e pensieri che è utile e bello ripercorrere perché: a) sono il passato di tanti italiani costretti a muoversi di paese in paese praticando l'arte della sopravvivenza, tra menzogna e verità, tra onestà e raggiro; b) sono il presente di nuovi picari, obbligati dalla scarsità a praticare ancora e ancora l'arte di arrangiarsi.