Riecco la sindrome dell'Ottantadue. Già: ogni volta che l'Italia si avvicina a un traguardo importante, qualcuno tira fuori la storia dell'assalto al carro dei vincitori. Nel 1982 il carro era lungo da Lodi a Milano, anzi, con carri aggiunti sembrava un treno. Treno merci. Nel 2006 bastarono i pullman scoperti, gli autobus di linea e i taxi per portare tutti gli “assalitori” al Foro Romano. Stavolta non vedo - e considero anche il miglior risultato possibile, il titolo europeo - grandi manovre in corso e esiti clamorosi: Prandelli - come ha detto ieri - è stato bravo a unire, non ha diviso e ha fatto di tutto perchè anche Balotelli, il giocatore che aveva creato disparità d'accenti nella critica, a volte con toni eccessivi se non disgustosi, diventasse di tutti. Al punto che l'unico a doversi preoccupare dello sport nazionale - saltar sul carro, appunto - è proprio lui, Mario ridiventato Supermario. Visto dopo il secondo gol, una sorta di rappresentazione dei Bronzi di Riace (bel fisico e altezza intorno ai due metri) ha colpito la possanza delle sue spalle: ed è a queste, forse, che s'aggrapperanno i numerosi pentiti sventolando fogli pieni di belle parole per il Bad Boy che volevano panchinaro in Aeternum. Saggiamente - e non è una novità - Prandelli ha ribadito che il suo codice etico riguarda il campo, non la vita privata, e su questa strada l'avevo seguito dal giorno in cui aveva dato fiducia a Cassano e Balotelli. Mi aveva invece stupito quando, dopo la nomina, aveva espresso il desiderio (il sogno) di fare della Nazionale un'Italia multietnica: non mi aveva convinto, ad esempio, la chiamata di Ledesma «giusto per cominciare», e infatti l'argentino ha indossato l'azzurro ed è sparito. Bene ha fatto Prandelli, peraltro, a precisare che Balotelli non è «prodotto multietnico», ma un italiano nato in Italia. Adesso che Supermario ha sbancato la Germania, molti pensano che la finale con la Spagna sarà una passeggiata: giocando con noi la prima partita, la squadra di Del Bosque è subito parsa indietro su tutta la linea, l'abbiamo salvata noi con un buco difensivo. Poi, battuto il Portogallo ai rigori nella partita più noiosa dell'anno, s'è accentuato il dubbio sulle vere condizioni fisiche e tecniche degli spagnoli con quel loro giocar senza punta centrale e con un pressing appena volonteroso. Ho sempre sostenuto - forse sbagliando - che la quasi unanimità dei consensi a favore del “tochetoche” o “tichetache” ci ha portato a temere una Spagna non dico inesistente ma ridimensionata rispetto al modello "campione" sudafricano. Rischiamo di far ridere con queste deviazioni dal solco delle carte federali e tuttavia penso che Prandelli & C. - di questi tempi - debbano pensare soprattutto - se non soltanto - al gioco ideale per irretire gli avversari e batterli. Impresa esagerata? Non direi. L'Italia è forte in tutti i reparti e con la Spagna dovrà evitare gli errori commessi nel primo match dopo il gol di Totò Di Natale, quando la difesa è parsa più che debole per l'impossibilità di Giaccherini - ad esempio - di chiudere adeguatamente gli spazi laterali mentre a centrocampo si consumava la misteriosa leggenda di Thiago Motta. Per battere la Spagna manderei a memoria le modalità del secondo gol azzurro alla Germania: da una respinta di Buffon, tocco e lancio di Montolivo a un Balotelli pronto, prontissimo, a metter dentro: un classico del calcio italiano, un contropiede bellissimo quanto efficace accostabile a quello del greco Samaras che ho più volte ricordato, rivelatore di una difesa non eccellente. Poi, palleggio e palleggio. Mai dimenticando - come ha detto saggiamente Buffon - di cercare di chiudere la partita. Quel rigore finale con la Germania, lui proprio non l'ha digerito.