La sicurezza delle città e il nuovo Esercito «sociale»
Il debutto dei militari nel nuovo ruolo avvenne nell'estate del 2008. L'operazione “Strade Sicure” fu varata dal Governo Berlusconi come «misura straordinaria» per combattere la criminalità: «Un esperimento di sei mesi, rinnovabile una sola volta» annunciò l'allora ministro della Difesa Ignazio La Russa. Ma dopo 9 anni, a conferma dell'antica regola secondo cui in Italia non c'è nulla di più definitivo di ciò che viene definito provvisorio, è diventata una strategia strutturale. E non è una cattiva notizia, anzi. Oggi i militari coinvolti nell'operazione sono ben 7mila: dislocati stabilmente in numerose città italiane e impiegati in occasione di situazioni straordinarie, dal Giubileo all'Expo, dalla sicurezza dei cantieri della Tav a quella della “Terra dei fuochi”, dall'emergenza del terremoto de L'Aquila al sisma che ha colpito Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo.
I militari impegnati fuori caserma non sono poliziotti o carabinieri. Seguono uno speciale iter addestrativo per poter rispondere con prontezza alle varie situazioni critiche, hanno il dovere di difendere i siti a loro assegnati e possono intervenire nei casi in cui si stia consumando un crimine, ma non hanno il potere di arrestare direttamente una persona (che devono segnalare alle forze dell'ordine). La loro funzione principale, in sostanza, è quella di garantire un ambiente più sereno e sicuro.
Obiettivo raggiunto, a mio avviso. Perché dimenticate le prime (sterili e immancabili) polemiche sulla militarizzazione delle città, oggi la piccola grande rivoluzione dell'Esercito può dirsi compiuta. Attraverso la costruzione di un nuovo “ruolo sociale”, più coerente con le sfide e le angosce del nostro tempo.
@FFDelzio