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La sfida delle persone create dai computer

Gigio Rancilio venerdì 29 ottobre 2021

Chi è una persona digitale? O meglio: cos’è una persona digitale? A poche ore dall’annuncio ufficiale di Zuckerberg sul «metaverso», queste domande diventano ancor più di attualità visto che in un futuro prossimo ognuno di noi avrà una o più repliche digitali da far vivere nella Rete.
Per capire a che punto siamo e cosa ci aspetta, occorre partire dalla Nuova Zelanda, dove ha sede l’azienda Soul machines che «crea» persone digitali. Come fa? «Grazie a un cervello digitale brevettato che è stato costruito su una ricerca approfondita in neuroscienze, psicologia e scienze cognitive». Cerchiamo di andare un po’ più a fondo. «Il nostro cervello digitale consente alle persone digitali di pensare, parlare, analizzare e interagire in maniera molto simile a un essere umano». In che modo? Le persone digitali comprendono le parole e vedono attraverso la fotocamera e grazie al loro cervello digitale sono in grado di reagire non solo alle parole ma anche alle espressioni facciali e ai movimenti dei loro interlocutori umani.
Insomma, basta chiedere e Soul Machines creerà la persona digitale che vogliamo. Un sogno (o un incubo)? Qualunque sia la vostra opinione in merito, tutto questo è già realtà.
Come ha raccontato “The Verge”, ci sono già persone digitali della Soul Machines che in Rete rappresentano l’Organizzazione mondiale della sanità, università, banche, colossi della cosmetica e degli alimentari e persino la polizia della Nuova Zelanda.
Alcune sono assistenti virtuali evoluti che richiedono ancora la guida di un «formatore umano», ma c’è un di più. L’obiettivo di Soul Machines «è insegnare a una persona digitale come prendere decisioni anche basate sul valore delle scelte». Alla base di tutto c’è un sistema, denominato Baby X, creato nel 2013 all’Università di Auckland dall’ex mago degli effetti speciali di Hollywood Mark Sagar, co-fondatore di Soul Machines. Come spiega l’azienda, «BabyX ha un cervello digitale che si basa su quello umano e che gli consente di percepire, apprendere, adattarsi e comunicare in modo coinvolgente e vivo». Detta in maniera ancor più semplice: «Il cervello digitale che anima BabyX lo rende in grado di apprendere, interpretare e interagire con il mondo che lo circonda nel modo in cui lo fanno gli umani».
Quello che dovrebbe farci riflettere (e tanto) è ciò che il suo creatore ha raccontato a “The Verge”. «Ad un certo punto saremo in grado di creare una versione digitale di noi stessi o più versioni di noi stessi, e le nostre persone digitali potranno fare cose, guadagnare e lavorare al nostro posto mentre noi faremo qualcos’altro di molto più divertente».
Detta così un po’ affascina e un po’ mette i brividi. Cross sa benissimo che sta parlando di una vera rivoluzione e così getta un po’ di acqua sul fuoco. «Soul Machines vuole usare la tecnologia per fare del bene. Ci piacerebbe che la nostra tecnologia venisse usata anche per l’istruzione e l’assistenza sanitaria, magari per fare lezioni e visite mediche».
Tutto questo, comunque, apre scenari immensi che hanno bisogno di regole certe. Perché è vero, come dice Cross, «che ci permetteranno di ripensare il nostro rapporto col lavoro e col tempo libero». Ma, se non governate, potrebbero creare anche grandi danni non solo al mondo del lavoro. Non so quanto e come si evolveranno il «metaverso» e le «persone digitali», ma so che non dobbiamo smettere di chiederci: chi siamo e che società vogliamo per noi e per i nostri figli?