La scuola? Se non è in presenza non esiste
La socialità didattica ha bisogno di realizzarsi “in presenza” e se la presenza è mediata e a distanza ci si rende conto che bambini e ragazzi non sono più in grado di viverne davvero l’esperienza. La trasmissione di cultura ha bisogno di passare attraverso esseri umani vivi e prossimi, che la rendano prossima e la facciano vivere. È noto che si ricorda per tutta la vita l’apprendimento di certe “materie” scolastiche identificandole ancora con la persona dell’insegnante da cui per la prima volta le imparammo o non riuscimmo a impararle. Sgradevole l’insegnante e sgradevole la materia, coinvolgente chi insegna e coinvolto chi impara. Certo, si potrebbe avere un po’ di immaginazione. Per esempio un’amica ha trovato che organizzare un giornale di classe risulta una pratica di insegnamento forse non del tutto ortodossa ma stimolante proprio per questo. Si gioca cioè sulla novità, sull’iniziativa degli studenti, sulle loro curiosità, il che richiede la loro capacità di cooperazione anche nella scelta degli oggetti su cui scrivere: si tratti di film, musica, libri, natura, pensieri giornalieri, innamoramenti, cibi, personaggi pubblici amati o detestati… Non si impara e non si insegna se non ci si appassiona.