Per quanto ne so, non c'è poeta che non si sia lamentato dei suoi anni di scuola. Sarà un caso? No, qualche ragione deve esserci. E se c'è, questo è un vero guaio per la scuola, perché significa che la tanto invocata e decantata “creatività” non va d'accordo con la scuola, con l'imparare e l'insegnare, o almeno con il modo in cui di solito nella scuola si insegna e si impara. La poesia è anche gioco verbale e se la scuola è solo utilitarismo conoscitivo e informativo, la poesia a che serve? Una volta Calvino disse che le cose più utili sono imparare poesie a memoria e divertirsi a fare calcoli con carta e penna. Oggi la moda è dire che anche la più ardua fisica quantistica, l'indagine più approfondita sulla struttura della materia e sui suoi comportamenti, somiglia alla logica che regola la poesia. Alcuni noti fisici si sentono poeti, proclamano che la loro non è una scienza insensibile alla bellezza e che c'è bellezza anche nella più avanzata creatività dei procedimenti matematici. Dunque anche le scienze naturali, anche le scienze esatte, richiedono inventività creativa, oltre che pazienza e rigore. A scuola si insegna l'abc di per sé interessantissimo di ogni oggetto di studio e da qui si può andare oltre, ma ci si va raramente. L'ordine organizzativo che a scuola è presente come un'inflessibile necessità, più che seguire i processi della conoscenza e dell'invenzione, ha un carattere burocratico, e la burocrazia ministeriale sembra che agli insegnanti ispiri solo l'ansia di ubbidire ai programmi stabiliti, non importa come. Ma se si insegna e si studia soprattutto per ubbidire a norme ministeriali, non c'è molto posto per la poesia, né per la riflessione personale, per l'inventività e la curiosità scientifica, artistica, letteraria. La prima cosa da fare nei primi giorni di scuola credo che sia svegliare la mente degli alunni, concentrare la loro attenzione, mettere in moto il desiderio e il piacere di sapere e di saper fare: osservare, usare il calcolo e il linguaggio verbale, connettere un'idea con un'altra e diverse esperienze fra loro. Il mestiere di chi insegna è il più difficile e socialmente il più prezioso. Quindi, se si sbaglia, è anche il più pericoloso. Guai alla scuola che spinge a considerare noiosi i libri e lo studio. Guai, anzi, per gli studenti che ne saranno vittime, sia a scuola che per il resto della vita.