La schiavitù non è scomparsa
L'obiettivo è quello di discutere le politiche di ridistribuzione della terra per ridurre a metà, entro il 2015, il numero di persone sotto la soglia della povertà assoluta. Per capire quanto sia difficile, bastano due ordini di notizie diverse emerse proprio dall'incontro della Fao: la schiavitù che ancora esiste nei campi, l'emarginazione delle donne dall'attività agricola. Solamente in America Latina, oltre 1,3 milioni di contadini sono schiavi. Tre gli Stati più interessati: Bolivia, Paraguay e Perù. In quest'ultimo, circa 20 mila indios lavorano allo sfruttamento della foresta amazzonica, si tratta di uomini costretti al lavoro da reclutatori di manodopera, che
- è stato detto - imprigionano famiglie intere per periodi da sei a 12 mesi. In Bolivia la schiavitù colpisce gli indigeni costretti a lavorare per 12 ore al giorno nelle piantagioni di canna da zucchero. In Paraguay, sempre secondo la Fao, le maggiori vittime sono gli indios Guaranì che lavorano nei latifondi. Quanto al Brasile, tra 20.000 e 50.000 braccianti sono costretti a condizioni di lavoro comparabili alla schiavitù. Su un altro fronte, quello del ruolo della donna nei campi tanto caro alle "nostre" agricolture, la situazione non appare migliore. Sempre a porto Alegre le donne d'Africa, d'Asia e d'America hanno chiesto un accesso alla terra e alle risorse produttive uguale a quello garantito agli uomini. Perché sembra una cosa impensabile, ma nel mondo agricolo appena fuori dall'Europa non è ancora così. Tanto che la stessa Santa Sede ha ufficialmente chiesto, proprio in Brasile, l'eliminazione di tutti gli impedimenti. E intanto - per rimarcare la difficoltà delle situazioni - proprio mentre la Conferenza della Fao iniziava, in un solo giorno città venivano attuate 15 invasioni di terra diverse da parte del Movimento Sem Terra brasiliano (Mst), fra cui anche un latifondo nello stato del Rio Grande do Sul, che ospita la stessa Conferenza. Insomma, anche questa - soprattutto questa, verrebbe da dire - è l'agricoltura. Poi c'è tutto ciò a cui siamo abituati: le eccedenze produttive, l'agriturismo, i prodotti tipici, la qualità. Un tutto che appare lontanissimo, come su un altro pianeta e che, però, deve essere in qualche modo conciliato e reso compatibile con quanto, fuori da casa nostra accade.