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L'imprevedibile che porta alla salvezza

Alberto Ambrosio mercoledì 22 aprile 2020

Sono le sicurezze che il virus ha colpito letalmente. Il nostro modo di vivere era, e rischia ancora di esserlo, terribilmente improntato alla sicurezza. Abbiamo costruito un mondo – o, meglio, un sistema – che non lascia non spazio all’insicurezza, all’incerto, all’aleatorio. Mi ha colpito molto, nelle poesie di Bonhoeffer che continuo a leggere nell’originale tedesco, come dal campo di concentramento il teologo parli di sofferenza e nostalgia per l’aleatorio. È proprio così, l’aleatorio di una pandemia, e della transizione da una fase di stretto confinamento a un’altra di allentamento, è fonte di incertezze e queste creano paura, quando non panico.
Mi trovo nel mezzo dell’Europa, tra Francia e Germania, seguo l’Italia da vicino e il sentimento che sembra imporsi in me è che il virus ci obblighi a riferirci inconsciamente all’aleatorio dell’esistenza naturale, che ne è anche il costitutivo. Abbiamo immaginato e creato assicurazioni per tutto, decidiamo del nostro futuro quasi per ogni aspetto, ed ecco che si aggira uno strano nemico che azzera tutte queste false sicurezze. L’aleatorio, l’incertezza, la probabilità sono tutti termini che annullano l’onnipotenza che andiamo costruendo da anni. False sicurezze, perché nessuno aveva mai decretato che l’uomo fosse uscito dalla sfera della natura che comporta tanti fattori insondabili.
È vero però che la scienza ci ha abituati a sapere tutto di tutto e, anche quando non si conosca esattamente il tutto, si dice che lo si conoscerà. Il cosiddetto scientismo è all’opera da secoli. La scienza ci ha ridotto, in potenza, tutti a degli dèi. Dèi sì, ma piccoli, perché da soli non sappiamo fare nulla. Anche il singolo scienziato, da solo, può magari contribuire alla scoperta di un elemento, anche alla formulazione di una teoria, ma lo fa pur sempre in misura limitata. D’altro canto, anche qualora non riescano sempre ad apportare soluzioni, le scienze esatte appaiono ben più utili in questi momenti delle scienze umanistiche, che nel migliore dei casi arrecano una parola di comprensione, di rappacificazione, di intelligenza.
Ma senza pensiero non vi è nemmeno orientamento nella ricerca scientifica. Scienza e filosofia, e teologia, non possono vivere separate, come non possono vivere troppo a lungo separati gli esseri umani. «L’uomo non si salva da solo», ricordava papa Francesco nel mezzo di una piazza san Pietro spettralmente deserta, Questa verità è più che mai attuale oggi , a condizione di voler maturare un’umiltà collettiva di fronte alla vita stessa. Senza questo ritorno alla terra (umiltà viene da humus, la terra) nulla sarà utile, nemmeno aver superato una crisi sanitaria di proporzioni planetarie. Se le condizioni che si sono venute a creare, sono come quelle di un dopoguerra, e quindi potenzialmente soggette al motto mors tua vita mea, il vero antidoto sta nell'affermazione opposta: la tua morte è anche la mia. Non ci si salva da soli, non si vive da soli: si sopravvive e si vive insieme.