Da una parte o dall'altra. Un crinale divide le acque e tutto ciò che cade e scivola irrimediabilmente verso il basso. Per ciò che sale, si eleva, è un confine che può dividere o unire. Una tensione irrisolta. Il mio crinale è un luogo in cui geografia e storia si sono intrecciate inanellandosi e, a volte, è difficile capire qual è il limite dell'una e l'origine dell'altra. È un luogo benedetto da Dio e a lungo benedetto dagli uomini. A sud s'affaccia sul mare di Toscana e ci sono giorni rasserenati in cui lo sguardo ne scopre l'arcipelago con la Corsica sulla linea d'orizzonte. A tramonto sta il golfo ligure. A nord l'arco alpino luccica quando l'aria rinfresca e rischiara. Ad est la piana del Po è l'ultima propaggine delle pianure e steppe d'Eurasia. In media valle, la Pietra di Bismantova: ciclopica ara, arcaico altare, proteso al Cielo. Su questo crinale, in un piccolo borgo, sono nato e sono tornato a vivere. È ancora un luogo benedetto da Dio ma abbandonato dagli uomini. Il tempo di una generazione e sarà la fine di un lungo racconto già dimenticato ma di cui cominciamo a percepire la mancanza. Un mondo scomparso che ricompare in frammenti illuminati, lampi visionari sul pulsare del sangue. Il sangue non è acqua quando lo diciamo non ci rendiamo conto di quale verità stiamo enunciando. Per qualificarne la portata è bene ricordare che dal costato del Cristo Crocefisso, squarciato dalla lancia, sgorgano sangue e acqua. Mistero della vita, dell'Incarnazione, dell'uomo. Il racconto di ciò che fu, che è stato, dovrebbe essere Saga: il canto eroico dei canti. Un canto sempre cantato. Lo intonò un bardo nel tempo antico, risuonò nelle valli, sulle cime, quando tutto era selva, tutto era foresta, prima che fosse Storia. Cantò onore e gloria dei Liguri Montani. Cantò la Creazione, il Creatore, cantò le creature. Ne intese l'eco un monaco cristiano e lo riprese. Si salmodiò per tutto il Medioevo. Lo stornellò il pastore sul ritmo degli armenti in transumanza. Poi s'inceppò, poi tacque. Ora con l'avvento del III millennio, scomparsi agricoltura e allevamento, la modernità già vecchia e malandata, tutto torna foresta, torna selva. Al tramonto o sul fare del giorno par di sentire, nel vento, la voce di un canto. Affinando lo sguardo, circoscrivendo lo spazio del vivere quotidiano, ho perso sintonia con gli accadimenti che determinano la cronaca e il divenire del mondo. Non ne sento mancanza. Eppure sono vivo, cosciente di quale dono sia vivere, so della necessita di renderne merito e dei doveri che mi competono. Conosco molto delle mie colpe. So che sarò giudicato di fronte a Dio e posso solo sperare nella Sua misericordia. Non nutro altre speranze. La mia fiducia nelle capacità e possibilità dell'umanità oscilla tra l'applicazione della regola benedettina: ora, lege et labora e il buon senso tradizionale. Non credo che telefonando, fotografando, in rete collegati ed informati, cresca di un'oncia la meraviglia del vivere. Sono vecchio, conservatore, operando per lo più per reazione tendo ad essere reazionario ma ben cosciente di vivere nell'anno di grazia 2011 d.C.. Montano per discendenza e per scelta; per contingenza da 150 anni italiano, ma sono italico da secoli e secoli e il futuro non è dato; cattolico-romano in lotta perenne con un substrato barbarico, un sentire profondo che secoli di fede e devozione hanno contenuto, limato, educato ma, inutile mentire, affiora qua e là prepotente: occhio per occhio, dente per dente. Non mi aiuta l'educazione civica, mi innervosisce il corretto contemporaneo comportamento e nutro forti dubbi sulle sorti del progresso nell'animo umano. Fatico nel perdono che rimane un cammino tortuoso, aspro, difficile e vale solo se tiene lo sguardo rivolto all'Altissimo: verticale. Se facile, gratuito, orizzontale, dimentica le vittime e sostiene i carnefici; gronda sangue innocente.