Oltre l’ottima intervista di Lucia Bellaspiga, sabato scorso, al bravo Andrea Pennacchi, non resta molto da dire su La rosa dell’Istria, il film per la tv diretto da Tiziana Aristarco, andato in onda ieri sera su Rai 1. Si può fare, semmai, qualche considerazione sull’aspetto realizzativo, ovvero sulla costruzione della vicenda e sui modi di rappresentarla. Per il resto si può solo confermare l’importanza di un lavoro del genere per far conoscere al grande pubblico una tragedia per troppo tempo taciuta se non negata, quella delle Foibe e dell’esodo di massa degli istriani, fiumani e dalmati, alla fine della seconda guerra mondiale, per sfuggire all’epurazione del regime comunista jugoslavo del maresciallo Tito. Il film, e qui entriamo nel merito della realizzazione, lo fa attraverso la storia della famiglia Braico, puntando sulle vicissitudini che coinvolgono i suoi componenti, senza lesinare colpi di scena, concentrandosi soprattutto sulla figura di Maddalena (Gracjela Kicaj) e del padre Antonio (Andrea Pennacchi). L’espediente narrativo, il più usato nelle fiction televisive, è quello del flashback, il ritorno al passato. Questo consente di tenere alta all’inizio e alla fine l’attenzione sul tema storico, l’accennato straziante e disumano dramma degli esuli italiani dai territori dell’Istria e della Dalmazia. Al tempo stesso consente di riempire l’ampio spazio narrativo dentro al flashback con la parte più romanzata: le vicende amorose di Maddalena (forse anche un po’ troppo travagliate) e le dinamiche interne alla famiglia, il cui senso profondo non viene mai meno, anche nei momenti di difficoltà o di attrito. Per questo, al netto di qualche soluzione un po’ forzata (ad esempio la morte non morte del fratello maggiore di Maddalena), La rosa dell’Istria, oltre che un buon film storico, è anche un bel film sulla famiglia che in ogni caso si ricompone.
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