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La rivoluzione di Cuba difesa da Julio Cortázar prima che fosse tradita

Alfonso Berardinelli venerdì 6 novembre 2015
La riapertura dei rapporti fra Cuba e Stati Uniti, l'incontro tra un Fidel Castro malfermo e quasi ieratico e papa Francesco che amabilmente sorride, induce a ripensare alla storia della rivoluzione cubana: dagli entusiasmanti e promettenti inizi di mezzo secolo fa alla precoce involuzione e degenerazione dittatoriale, tra l'embargo decretato e mantenuto per decenni dagli Stati Uniti e il legame con l'Unione Sovietica. È chiaro che la scelta guerrigliera di Che Guevara di allontanarsi dall'isola e dall'indiscutibile Fidel Castro per trasferirsi sulle montagne della Bolivia, poteva far capire, già nel 1966, che la rivoluzione non solo era finita, ma si era già macchiata di gravi crimini, per esempio le molte condanne a morte senza processo di cui lo stesso Guevara, come ministro della Giustizia, era responsabile. Forse nella sua scelta boliviana c'era anche un desiderio di espiazione.A partire dal 1968 alcuni intellettuali latinoamericani, fra cui Mario Vargas Llosa, cominciarono a prendere le distanze dalla Cuba castrista. Ma un malinteso spirito di fedeltà perdurò a lungo in molti altri e soprattutto, ahimè, in Europa, nell'opinione di sinistra. Del resto la politica estera nordamericana nei confronti dell'America latina, con il suo appoggio a regimi autoritari di destra, sembrava giustificare la mitizzazione simbolico-politica di Cuba. Uno dei maggiori scrittori argentini, Julio Cortázar di cui compaiono ora le lettere politiche (Così violentemente dolce, a cura di Giulia Zavagna, Sur, pagine 312, euro 16), fu amareggiato e scandalizzato dal fatto che nel 1969 Vargas Llosa e Octavio Paz avessero accettato di insegnare in università statunitensi: si trattava secondo lui di una “fuga dei cervelli” alla quale gli scrittori latinoamericani non dovevano partecipare. Cortázar rifiutò nello stesso anno un'offerta della Columbia University affermando che la stessa «presenza fisica di un intellettuale latinoamericano negli Stati Uniti» era un grave errore politico.Vicende semplici e complesse di rapporti anche personali, che le lettere documentano. Ma la fedeltà alla rivoluzione cubana “nella sua essenza” da parte di molti e di Cortázar veniva dagli entusiasmi di anni prima. In una lettera del 1° aprile 1963 Cortázar scrive: «Quando arrivi a Cuba, non vuoi più andartene [...] io non so niente di politica [...] voglio dirti invece che il popolo cubano mi è sembrato meraviglioso. I cubani non odiano nessuno e non hanno paura di nessuno [...] Il grande pericolo di Cuba (e Castro, il Che Guevara e la maggioranza degli intellettuali lo sanno) è il comunismo “duro”, di taglio stalinista. Se a Cuba trionfasse questa tendenza, la rivoluzione sarebbe perduta». Proprio questo avvenne.