Il numero di luglio della rivista “Gli asini” si apre con alcuni testi drammatici sullo stato attuale del mondo. Il primo (di Ugo Pipitone) è “Messico: la strage senza fine”, gli altri due sono intitolati entrambi “Operai in Cina” (di Gaia Perini, Diego Gullotta e Lin Lili). Il Messico sembra proprio che abbia quel destino di morte a cui ossessivamente allude il suo folklore abitato da scheletri e teschi. La festa dei morti, con tranquilli e conviviali affollamenti nei cimiteri, è la più importante e popolare del Paese. La situazione sociale e politica non è soltanto disperatamente immobile, fra criminalità del narcotraffico e istituzioni corrotte, clientelari e passive che continuano ad auto-legittimarsi come eredi della rivoluzione del 1910 di Villa e Zapata. Tutto continua a peggiorare: «Nell'ultimo decennio siamo oltre i 100mila morti e più di 30mila desaparecidos (…) Dal 2000 a oggi sono stati assassinati 126 giornalisti e dal 2010 ci sono state più di duemila aggressioni» contro chi scrive la verità. Inoltre su 32 stati federali, 17 governatori sono latitanti, in carcere o indagati per arricchimento inspiegabile. La Cina, che nella sua Costituzione si dichiara «dittatura democratica» guidata dalla classe operaia, è un paese in cui gli operai come classe sociale sono diventati invisibili, «sabbia dispersa», «pulviscolo sparso»: 300 milioni di lavoratori senza diritti in continua migrazione. La maggiore esperta del fenomeno nonché attivista, Pun Ngai, docente a Hong Kong, afferma che in Cina il «neoliberismo» invece che essere nato dal mercato è stato imposto dall'intervento dello Stato, che ha spalancato le porte al capitalismo globale. Agghiacciante è poi la cronaca fatta da Nicola De Cilia di una visita ad Auschwitz organizzata dal comune di Conegliano. Anche in un tale luogo regna ormai lo spirito del turismo, forse la più grande industria culturale del nuovo millennio. È l'epoca del “selfie” e dell'andare a vedere senza vedere. Così una gita scolastica ad Auschwitz somiglia a una spensierata gita in qualunque altro luogo del mondo. Sempre più il turismo sembra fatto per consumare fotograficamente e per nascondere, far dimenticare la realtà del mondo. Ne parlò Enzensberger all'inizio degli anni Sessanta e ora ne parla Marco d'Eramo nel suo libro Il selfie del mondo. Indagine sull'età del turismo (Feltrinelli 2017).