La ritirata dei terreni agricoli
non sono una bella cosa. Soprattutto per un Paese, come il nostro, che di terra vera, quella coltivabile appunto, ne ha poca da sempre. E soprattutto perché la scomparsa di terreno coltivabile significa molte cose: meno produzione agricola, meno controllo del territorio, più rischi dal punto di vista idrogeologico. Tutte condizioni che danno un solo risultato economico, ovviamente negativo. Sarà anche per questo, oltre che per ovvie e ben chiare ragioni di mercato e strutturali, che il 2005 agricolo ha chiuso in maniera negativa. Intanto però, l'agricoltura continua a darci sorprese, come quelle dei consumi natalizi di prodotti tipici e spumanti nostrani. Ma partiamo dal territorio. Al di là della diminuzione oggettiva di superficie coltivabile, c'è chi - come l'Associazione Nazionale Bonifiche - ha sollevato, commentando gli ultimi dati Istat, un altro problema: se i coltivatori non coltivano, la terra rimane lasciata a se stessa e prima o poi la questione del rischio idrogeologico esploderà (come in alcune aree italiane è già accaduto svariate volte). La diminuzione di superficie coltivata - è il ragionamento della Anbi - significa che quelle terre sono state urbanizzate oppure che, specialmente nelle zone svantaggiate e montane, sono state abbandonate e quindi private del costante presidio garantito dall'attività agricola. In entrambi i casi, ciò comporta nuovi impegni per la salvaguardia idrogeologica del territorio, condizione indispensabile per qualsiasi comunità. Anche dal punto di vista economico. Ma cosa fare per porre rimedio? L'Associazione delle Bonifiche non ha dubbi Serve un grande piano di manutenzione del territorio. Che, detto in altre parole, indica una forte esigenze di risorse finanziarie. Le cifre, però, non appaiono all'altezza. Negli anni più recenti (dal 1998 al 2003), siano stati stanziati, per la difesa del suolo, solo 1,4 miliardi di euro per tutti i bacini nazionali, interregionali e regionali. Una somma, spiega sempre la Anbi, che non sarebbe stata neanche sufficiente per la realizzazione del programma di manutenzione straordinaria delle opere di bonifica scritto alla fine degli anni '90. Soldi, dunque, in grado di conservare adeguatamente il territorio così come, attraverso programmi adeguati, di rilanciare un settore, quello agricolo, che sembra sempre di più attraversare un periodo denso di contraddizioni e di dubbi. Da una parte, per esempio, il bilancio complessivo del 2005 non sembra aver chiuso in maniera positiva. Dall'altra, però, le esportazioni corrono e per alcuni comparti le vendite sono in aumento. Basta pensare a quello dei vini e degli spumanti in particolare. In dicembre - secondo dati di Coldiretti e Forum Spumanti d'Italia - gli italiani avrebbero speso quasi 1,5 miliardi di euro solo per i prodotti tipici e il
40% per vini e spumanti. Ma tutto questo, evidentemente, continua a non bastare.