Sembrava quasi sul punto di scomparire, ingoiato dall'avvicendarsi delle mode, surclassato dai fast food, appiattito da una congiuntura che pare rosicchiare ogni giorno i redditi spendibili. Invece no. Il comparto dei prodotti biologici parrebbe aver ritrovato le energie per una nuova vita o, meglio, per risalire la china della crisi dove era precipitato da qualche anno.
Di chi sia merito l'inversione di tendenza per un comparto che ha dato comunque molto all'agricoltura italiana, è difficile dirlo, ma tant'è, i dati sono lì a dimostrarlo. Nel 2005 le superfici coltivate con queste tecniche sono salite dell'11%, gli operatori sono cresciuti del 21%. È così che oggi, sul numero totale delle imprese biologiche presenti a livello internazionale, una su dieci è italiana; mentre a livello europeo siamo leader assoluti con oltre un terzo delle imprese e oltre un quinto della superficie. Questo, almeno, stando ai numeri resi pubblici da Anabio-Cia e da Coldiretti. Numeri ai quali si affiancano altri - resi noti da una indagine Coldiretti-Ispo - che indicano in un +6% i consumatori che acquistano alimenti biologici. La spesa complessiva per i prodotti biologici ha raggiunto in Italia 1,5 miliardi di euro (il 2% del mercato dei prodotti alimentari). Detto in altro modo, i prodotti biologici sono presenti almeno qualche volta nel carrello della spesa di sette italiani su dieci.
Certo, molto rimane ancora da fare. L'uso dei metodi e delle tecniche di produzione «biologici», infatti, continua ad essere condizionato da forti oscillazioni di mercato ma è anche legato all'arrivo di aiuti pubblici che devono compensare, di fatto, il divario fra prezzi di vendita e costi di produzione. Sostegni che ad ogni tornata di decisioni politiche sono messi in forse dai tagli di bilancio e dai cambiamenti di strategia. Ecco perché i rappresentanti dei produttori chiedono ormai a gran voce un vero e proprio Piano nazionale per l'agricoltura biologica. È una posizione resa forte anche dall'apertura, proprio all'agricoltura biologica, del Tavolo agroalimentare riunitosi qualche giorno fa e che probabilmente troverà risposte in tempi brevi. Ma l'etichetta del piano certamente non è sufficiente. Dentro, infatti, devono esserci risorse adeguate e una strategia d'azione che passa dalla creazione di infrastrutture, centri di stoccaggio e di prima lavorazione, contratti di filiera e norme di qualità che arrivino fino al «Marchio del biologico italiano». Oltre a tutto ciò, poi, i produttori chiedono regole di trasparenza e di informazione che mettano al bando qualsiasi tentativo di utilizzare in maniera scorretta il buon nome del biologico. Insomma, se i numeri indicano un cambiamento, sembra chiaro che questo debba essere gestito e governato in maniera corretta e limpida. Altrimenti si rischia davvero di sprofondare nuovamente nella drammatica situazione del 2004, quando le coltivazioni e gli allevamenti biologici perdevano terreno alla velocità del 15% all'anno.