Tempo fa avevo archiviato nella memoria un'immagine tanto insolita quanto significativa di un costume sportivo: si giocava a Manchester la partita d'esordio di Roberto Mancini sulla panchina del City e prima del fischio d'inizio l'arbitro aveva chiesto un minuto di silenzio (se non erro per le vittime del terremoto di Haiti) e istantaneamente ogni voce s'era spenta, il pubblico immobile, bandiere e stendardi abbassati; sulla pista intorno al campo, anche un uomo-pupazzo pubblicitario tipo Gabibbo, con un sorrisone dipinto sul faccione di gomma, s'era bloccato portando la mano destra alla fronte, come un saluto militare, per l'intero minuto. Dal contrasto, il momento più commovente e insieme l'ammirazione per quella gente, quello stadio, quel silenzio assoluto senza sghignazzi, fischi o volgarità come sempre succede a casa nostra. Già: volgarità. Lo stadio italiano quando non è violento - e per fortuna le imprese ultrà sono in ribasso - è comunque volgare, ritratto di un Paese volgare nei gesti, nelle parole, nelle esibizioni dei tifosi che insultano gli avversari, gridano buuu ai neri, inalberano tazebao offensivi; così come nelle gesta insopportabili degli eroi televisivi da Grande Fratello, dei personaggi istituzionali ormai travolti dalla rissa politica più triviale, delle persone d'ogni estrazione che dalla strada ai banchi delle Camere trasmettono esempi di maleducazione che nessuna censura riesce a fermare perchè ormai fanno parte della comune espressione popolare figlia di un comune senso del pudore crollato a valori infimi. Dovremmo chiederci perché all'ingresso di Beckham sul campo, in occasione della sfida fra Manchester United e Milan, la gente di Old Trafford s'è levata in piedi e gli ha indirizzato un'ovazione, fischiando poi i suoi tocchi di palla, come a distinguere l'amico di vita dall'avversario di gioco, ma applaudendo infine il suo bello quanto inutile tiro-gol; mentre da noi a un figliol prodigo avrebbero gridato «traditore», l'avrebbero ricoperto di buu, pernacchie e sghignazzi, destinando lazzi e sberleffi anche a sua moglie. Ma sono proprio così educati e signori, gli inglesi? Non ci arrivano anche dall'Inghilterra - soprattutto attraverso i media - numerosi e importanti esempi di trivialità? Il peggio della nostra tivù non è per caso frutto dei format importati non dalla mitica BBC ma dai network privati inglesi? Tutto vero. E la conclusione - per noi che viviamo nello sport - è ancor più scoraggiante. Mentre negli stadi italiani si riversa la maleducazione dell'intero ex Bel Paese, dagli stadi inglesi il popolo del calcio indirizza alla nazione messaggi di tolleranza, compostezza, allegria, lealtà e sportività. Come dire: la regina è salva, Dio salvi il Presidente della Repubblica.