Ennio Flaiano, scrittore, poeta, autore di teatro, di cinema (Fellini, Antonioni, Risi) e di aforismi memorabili, pubblicò un solo romanzo, nel 1947, Tempo di uccidere, energicamente voluto da Leo Longanesi e con il quale vinse la prima edizione del Premio Strega. Ma questo primo e unico romanzo, commenta Gino Ruozzi nel libro che ha appena dedicato a Flaiano (Ennio Flaiano. Una verità personale), pesò su di lui in modo consistente, in positivo e in negativo. Nei decenni successivi gli fu rimproverato più volte di non avere scritto altri romanzi, «come se fosse una colpa, una mancanza grave, il segno di una incompiutezza artistica che ne evidenziava i limiti e condizionava la sua fortuna di scrittore». Forse proprio per questo, nella letteratura del Novecento, troppo ancorata alle sorti della narrativa e della poesia, non ha avuto il posto che meritava, e merita. Flaiano, che ne era consapevole, ne parlò con l'ironia e l'amarezza che lo caratterizzavano al termine di un'intervista, a un tempo reale e immaginaria, uscita nel 1963. «E adesso una domanda indiscreta: perché scrive tanto poco?», «Caro signore, io non ho una vocazione narrativa. Scrivo, che è una cosa molto diversa». Nel suo racconto Melampo aggiunge un dettaglio: la realtà, dice, è più ricca, più esemplare, più forte di quello che si può narrare.