In chat si discute delle canzoni cui affidiamo il buongiorno del mattino. È un gruppo un tantino snob e le scelte volano alto: un po' di classica, qualche nostalgia jazz, molto blues rock patinato che è fine e sa di impegno. Resta fuori chi come me ha gli occhi aperti almeno mezz'ora prima della radiosveglia e punta sulle notizie. Però il dibattito è interessante, rivela la musica che abbiamo nel cuore e da quale melodia vorremmo essere accarezzati. Tutti d'accordo: non importa se si è pop, folk o metal, conta non smettere mai di suonare quel che ci vibra dentro. Ricordo una grande donna, un vero modello, che prima di andarsene decise, uno per uno, spiegandoli, i canti del suo funerale. Fu triste, struggente ma bellissimo. Come affidare il proprio amore all'amore degli altri, come dire: vi lascio strumenti e spartiti, adesso quel che ero e continuo a essere, interpretatelo voi. Un'eredità di vita da vivere più che un lascito di nostalgia. Perché puoi cambiare gli accordi, ingarbugliare la metrica, puntare sui bassi anziché sui violini ma la musica resta un sogno di comunione, uno specchio sul mondo di dentro, un aquilone di libertà. È vento, ora brezza leggera, ora turbine, per aprire le ali e andarsene via.