La pura e bianca profezia del Papa oltre la logica bellica
Caro Marco Tarquinio,
sono convinto che se chiedessimo alle popolazioni martoriate dalle guerre di alzare tutti contemporaneamente bandiera bianca, di sicuro gran parte delle persone lo farebbe. Bandiera bianca, dignitosa, coraggiosa, per non arrendersi alla guerra infinita ma per significare che le contese tra i popoli si risolvono con le trattative e i negoziati, non con le bombe. E invece i capi di governo no, loro vogliono la guerra. Loro che però non combattono, che vivono nei bunker e hanno già pronti i rifugi all'estero. Loro che sono super protetti dalle guardie del corpo e con i figlioli già al sicuro in città lontane. Loro non alzano bandiera bianca, loro vogliono la guerra (però a morire ci mandano gli altri), è sempre stato così nella storia dell'umanità. E noi, impauriti e impotenti di fronte alla follia che contamina la mente umana, rischiamo di diventare indifferenti: fino a quando l'orlo dell'abisso non è superato, finché la strage non ci riguarda direttamente, giriamo la testa dall'altra parte come facevano le brave persone per Auschwitz. Seppure indegnamente, ti imploro, Signore, che puoi tutto: dona pace alla Palestina e a Israele, dona pace all'Ucraina e alla Russia, dona la pace al mondo intero.
Caro Tarquinio,
papa Francesco, da buon profeta, sa che qualcosa di molto tragico serpeggia nell’animo di alcuni esaltati che non smettono di tessere trame per alimentare la possibilità di una guerra atomica. Da padre saggio e amorevole cerca quotidianamente di mettere acqua sul fuoco e far comprendere che non c’è tempo da perdere. Pertanto, con parole vere che sgorgano dal cuore, enuncia una santa verità: e si cessi il fuoco e di rinunci alla follia di voler distruggere nazioni e popoli. Le vicende dei conflitti in atto somigliano a quelle che provocarono l’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Morte, sofferenza, dolore, lacrime, fame, miseria: ecco cosa ha patito la mia generazione.
Però, allora, era l’atomica era in gestazione, oggi di bombe atomiche ce ne sono a iosa. Ecco cosa tormenta il Papa - e penso tutti gli uomini di buona volontà - quando parla del «coraggio di alzare bandiera bianca e di negoziare». È davvero così difficile trovare una giusta via d’uscita da tanto orrore?
Raffaele Pisani
Caro Tarquinio,
Gianni Mereghetti
Caro Marco Tarquinio,
Carlo Maria Pagliari
Non so più quante volte, soprattutto in questi anni tormentati e insanguinati, ho scritto e intessuto dialoghi sul tema della pace di cui abbiamo bisogno e di cui siamo responsabili e della guerra che ci assedia, di cui i nostri Paesi si stanno facendo complici e di cui rischiamo di ritrovarci protagonisti. Sul punto, tanti amici lettori non smettono di dire la loro, di farsi domande scomode, di ragionare sui modi della resistenza alla logica e alla pratica della guerra e a coloro che ancora e sempre le perseguono. Quella resistenza che, anche per me, deve farsi finalmente e decisamente nonviolenta. In Italia e in Europa sono tanti, tantissimi, coloro che non rinunciano a lasciarsi ferire dalla dura realtà dei massacri in corso e a insistere nella speranza, che è sentimento umano e morale e impegno civile e spirituale. Non esitano a scandire la propria obiezione e, in più di un caso, a partecipare a una mobilitazione che si fa manifestazione, presa di parola e preghiera e che è parte integrante della ricerca tenace di una via d’uscita dal cono d’ombra in cui siamo immersi. Una ricerca che, accanto alla fatica discreta dei buoni diplomatici, dovrebbe vedere in prima linea coloro che tengono banco sulla scena politica e mediatica e che, invece, in grande maggioranza si dedicano a ragionamenti e ad arruolamenti di segno opposto.
C’è più che mai bisogno di un cambio di sguardo e di passo. Non per paura, ma per amore. Amore dell’umanità, amore della nostra gente, amore soprattutto delle prossime generazioni e, per principio, amor di Dio (perché quando si crede per davvero si sa di essere tutti figli e fratelli, figlie e sorelle, e così ci si sente). È esattamente la strada che continua a indicare il Papa. Per contraddire la nuova e violenta deriva bellica, papa Francesco riesce a dire e a fare cose che vanno oltre l’apparente ragionevolezza, quella che pure sembra mancare spesso e che, quando c’è, viene continuamente piegata alle esigenze della battaglia.
Quasi che la ragionevolezza sia diventata l’alibi perfetto dei bellicosi. Tant’è che sovente sono gli analisti militari che hanno vestito la divisa, persone che la realtà della guerra e i rischi dell’escalation ben conoscono, a dire le cose più prudenti e sagge sui conflitti in corso. Cose certo più assennate di quelle scagliate da molti politici e troppi sputasentenze.
Per questo i sempre più accorati appelli del Papa suonano semplicemente scandalosi secondo la logica della guerra, soprattutto quando Francesco osa parlare del « coraggio della bandiera bianca ». Il “bianco” che non è abbandono delle proprie buone ragioni, ma è liberazione dalla corazza dell’orgoglio ed è rinuncia alla semina di morte nel campo proprio e in quello altrui. Il “bianco, ci ricorda il Papa, che è il preludio necessario di quel negoziato che sinora, in alternanza di ruoli tra le parti opposte, non si è voluto far procedere ed evolvere in un accordo scaccia-guerra in Ucraina, tra Putin e Zelensky, e su tutti gli altri fronti tragicamente aperti (dal Medio Oriente all’Africa, dalle Asia centrale all’America Latina) nel mondo della «guerra mondiale a pezzi».
Il Papa aggiunge che «il negoziato non è mai una resa». È vero, verissimo. Significa prima di tutto, come Francesco stesso sottolinea, «pensare al popolo». Significa non arrendersi all’ineluttabilità dell’orrore. Significa togliere i missili dalle rampe e svuotare le canne dei cannoni e dei fucili. Significa far rintanare nei loro antri i custodi della Bomba e gli esecutori dell’apocalisse nucleare. E se è il più debole – lo «sconfitto», dice ancora il Papa – a decidere questo passo, il realismo e il coraggio della scelta sono ancora più grandi e meritano ancora più rispetto e gratitudine. Lo ripeto ancora una volta: ho imparato sin da bambino, e non finirò mai di esserne contento, che quando ci si fa picchia, cioè quando ci si fa guerra, ha ragione solo chi smette per primo. C’è chi pensa e dice, con sussiego, che si tratterebbe di un approccio ai conflitti del tutto ingenuo. Credo che questa replica sia frutto di una triste presunzione, che spiega perché le nostre società e il mondo di cui siamo parte stanno prendendo una piega sempre più brutta.
Francesco, insomma, offre a noi tutti e specialmente ai potenti che fanno, subiscono e non scongiurano la guerra una benedetta e disarmante profezia di pace. Che è sorella della poesia. Quella che, per esempio, il mio amico Alessandro Bergonzoni continua a scandire, alla sua speciale e travolgente maniera, mentre la notte della guerra ha preso a farsi più gelida e scura: «La bandiera bianca non è una resa, ma “rende” indietro ciò che guerra e odio hanno rubato al bene. (…) Rende l’idea di cosa si possa scrivere di nuovo su quella pagina bianca immacolata non più insanguinata. Se proprio si dovesse credere all’arrendersi, sarebbe un arrendersi al massimo a Sua Evidenza: non al torto e alla ragione ma al Ragionamento. Di cui noi facciamo “ Geniocidio”, senza paura di pronunciare questa parola».
Abbiamo bisogno in ogni dove, a Gaza come in Ucraina e in Yemen, di questa saggezza e di questa chiarezza. Che non assolve chi aggredisce, usa la guerra con cinismo e, prima ancora, incrina e persino soffoca la piena libertà della sua stessa gente, cioè – per fare un nome noto a tutti – il presidente russo Putin (che oggi verrà rieletto in un Paese che ha afferrato nel 1999 e che tiene stretto nella sua morsa, tra consensi reali e dissensi duramente repressi). Ma non assolve neppure chi con Putin ha fatto, e ancora fa, affari ma non ha fatto nulla per sventare – allora sì, con ragionevolezza – l’aggressione, e che poi ha alimentato una guerra fatta «col petto degli altri», cioè degli ucraini, e adesso incomincia, neppure nascostamente, a preparare i bandi di arruolamento per i suoi stessi concittadini. Non ignoro le responsabilità di tutti i “grandi” del nostro mondo a più facce, Cina in primis, ma mi riferisco in special modo alla classe dirigente occidentale, quella d’Oltreoceano e d’Oltremanica, ovviamente, ma non di meno a quella italiana ed europea. Ne ho scritto molte volte e non insisto. Insisto, però, sul fatto che il Papa ci consegna una limpida profezia e una via buona e giusta da percorrere con visione e generosità. È una profezia che ribalta i proclami dei distruttori di vite e di città, di case e di ospedali, di fabbriche e di monumenti, di scuole e di chiese. E che fa impallidire i balbettii dei rassegnati ai falsi miti dell’eroismo o del “fermati tu, per primo” che, come vediamo, non ferma nessuna follia. Ci si ferma insieme. E l’eroe è chi comincia.