Qualche giorno fa un importante politico italiano mi ha chiesto: «Dammi qualche idea: cosa possiamo fare davvero per aiutare il nostro sistema imprenditoriale?». Diligentemente ho iniziato ad elencare una serie di misure chieste a gran voce dal mondo dell'impresa: defiscalizzazione e decontribuzione delle assunzioni, estensione della flat tax per le partite Iva, eliminazione delle sovra-strutture normative e di "soft law" che hanno paralizzato negli ultimi anni gli investimenti pubblici e frenato quelli privati. Poi mi sono interrotto, pensando d'avere recitato il solito cahier de doleances: «In realtà la madre di tutte le questioni è soltanto una: tornare ad investire ed a scommettere stabilmente sulla produzione. Sono decenni che i governi non lo fanno». Perché oggi in Italia ogni misura di politica economica, anche la più riuscita sul piano tecnico, rischia di infrangersi contro la percezione – assai diffusa tra imprenditori, manager e investitori – che si tratti della "misura del giorno": solo un annuncio, provvisorio e improvvisato. Senza una strategia univoca di medio termine fondata sulla centralità della produzione nel nostro Paese, quindi senza alcuna speranza di far fare un salto in avanti ad investimenti, produttività e competitività del nostro sistema imprenditoriale. Nell'era del presentismo, questa riflessione può sembrare fuori moda. Ma nasce da un'amara constatazione: gli imprenditori – costretti a prevedere, progettare e programmare in orizzonti temporali ben più lunghi della durata di un tweet – sono sicuramente tra le principali vittime del nostro "presentismo di sistema". E non si stancano di chiedere alla politica di uscire da questo tunnel, anche perché i nostri competitors riescono a ragionare in modo diverso. Lo ha fatto il governo inglese con la «Taylor Review»: un grande piano per disegnare le politiche del lavoro e sociali del futuro, mettendo insieme imprese e lavoratori, economisti, giuristi e sociologi. E lo ha fatto il governo tedesco nel campo delle politiche industriali: ha destato impressione tra gli addetti ai lavori la "Strategia 2030 per l'industria nazionale", con cui la Germania ha cercato di pianificare il futuro del suo asset più pregiato, l'industria manifatturiera. Per garantirsi nei prossimi anni una leadership ancora più forte in Europa, competendo con la Cina nelle tecnologie chiave del futuro (in primo luogo l'intelligenza artificiale) e difendendosi dal processo di re-industrializzazione degli Stati Uniti voluto da Trump. In Italia, la difesa del valore della produzione e della manifattura stanno diventando un terreno naturale di convergenza tra associazioni datoriali e organizzazioni sindacali. Al governo l'onere di battere un colpo.
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