La postmodernità riscopre i generi, il passato non è tutto da buttare
Una teoria minima, tascabile e scherzosamente psicanalitica dei generi letterari potrebbe essere questa. Il poeta è un narciso esibizionista: le sue emozioni e visioni per lui sono il punto di partenza e il punto di arrivo, ne è dominato, deve parlarne, esibirle, esprimerle. Il narratore è un voyeur curioso della vita degli altri, spia pensieri e comportamenti quotidiani dei suoi personaggi: eventualmente, in mancanza di altro, spia se stesso come una cavia imprigionata nel carosello della vita. Il drammaturgo è un incontenibile sadomasochista: ama le liti, li scontri verbali, fa in modo che i suoi personaggi perdano il controllo, si rivelino, si sfoghino, dicano tutto ciò che hanno in corpo.
E il saggista? Che cos'è un saggista? Qui sono un po' più coinvolto e potrò sbagliare. Ma credo che un saggista percorra vie più indirette. Non esibisce le sue emozioni, le studia, le distanzia, le trasforma in idee. A volte costruisce un sistema di pensiero. Ma poi lo mette da parte come una maschera. Se è un critico letterario, ha per gli scrittori la curiosità che un narratore ha per i suoi personaggi. Vorrebbe vivere un'altra vita, altre vite. Il critico, in fondo, è lo scrittore più interessato agli altri scrittori. Non è generosità questa?