La poesia di Trinci non è mai solipsistica
Felice occasione ritrovare questo poeta appartato, anche se ha già pubblicato parecchio: da Cella (1994) a Voci dal sottosuolo (1996), e poi Telemachia (1999), Resto di me (2001), Senz’altro pensiero (2006), La cadenza e il canto (2007), Inter nos (2013), senza dimenticare le 432 (quattrocento trentadue!) ottave ariostesche dell’Auto–biografia di un burattino, dedicate a Pinocchio (2004). Trinci ha anche tradotto Nella pietra e nel vento di Adonis (1999) e curato un volume di poesia araba. Va detto subito che la poesia di Trinci è poesia intenzionalmente «difficile», e il lettore non è agevolato dalla punteggiatura, dove il punto fermo, non seguito da uno spazio e senza maiuscole, spesso interrompe a sorpresa il filo del discorso: poesia da leggere ad alta voce, dunque, scandendo bene, quasi un canto fermo: «Una pigrizia tonda li raccoglie. / un’inerzia cedevole all’abisso. / si sta. così. voi tutti noi. di voglie / contro voglie. disinibite foglie. / d’estenuato in estenuato scisso. / diviso da me come indiviso», e così via. Già da questi sei versi, tutti endecasillabi calibratissimi, si intuisce che il gioco delle allitterazioni e delle assonanze («contro voglie. disinibite foglie»; «d’estenuato in estenuato scisso»; «diviso da me come indiviso») sta a indicare che il poeta si fa prendere dalla lingua, è parlato, non parla, allude, accenna. Tanto più che Trinci, anziché dare un titolo alle poesie, molto spesso preferisce farle precedere da tre puntini fra parentesi (…), quasi a dire che il discorso viene da lontano, e il più è sottinteso. E, con nonchalance, lascia cadere definizioni di poetica come questa: «Ripensare il respiro è la poesia, / la critica feroce, inapparente, / per un presente che, mai più, non sia». «Ripensare il respiro»: forse viene da lì anche il titolo dell’antologia, «Sospeso respiro», perché Trinci è intento a razionalizzare anche i ritmi biologici spontanei, mentre somatizza perfino il pensiero.
Nell’ampio e circostanziato saggio che Gabrio Vitali dedica a Trinci come a ciascuno degli altri tre antologizzati, si legge: «Il ritmo incalzante del verso di Trinci non dà pace al lettore e lo trascina, con voluta e maieutica crudezza, su quella che anche papa Francesco ha definito più volte la normalità virale della nostra società dominata di riti del profitto e del consumo, dell’individualismo e dell’omologazione». È la valenza sociale, dunque politica, di un poeta mai solipsistico, che Vitali iscrive nella linea dantesca, perché il petrarchismo umanista e rinascimentale di Trinci è reso in soluzioni metriche di ascendenza classica.
L’ultima parola, dunque, spetta a Trinci: «Perché il respiro si soffoca, perché / nel fiato che ci manca non c’è fiato? / questa la domanda più politica / come rifarsi il fiato, il fiat, la poesia / come nascere fondo che più sia / del mio del tuo, sempre più nostro, mondo?».