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Una foto, mille parole. Suor Jacqueline e i lamponi che nutrono l'anima

Giuseppe Matarazzo lunedì 30 settembre 2024

Una immagine del progetto di Sarah Boutin realizzato in un monastero dell’ordine delle Suore della Carità del Québec ed esposto a Lecce al Yeast Photo Festival

“Grazie per la piacevole visita, per i bei fiori e per le deliziose fragole che mi hai fatto assaggiare”. Potrebbe essere un biglietto lasciato a una amica dopo un pomeriggio insieme o su un book degli ospiti di una struttura in cui abbiamo soggiornato e ci siamo trovati come a casa. Un pensiero personale o, perché no, una poesia. Invece è il titolo di una mostra che in qualche modo si fa, sì, poesia, in forma di fotografia, per dire “grazie” a un incontro. Di quelli che non capitano tutti i giorni e che ci si porta dentro poi per tanto tempo. Chi compone e pronuncia questa frase è l’artista visiva canadese Sarah Boutin. Il grazie è per Jacqueline, una religiosa novantenne dell’ordine delle Suore della Carità del Québec. Una amica d’infanzia della nonna, conosciuta in occasione della sua morte. Un incontro per ritrovare le origini, andare al cuore dell’esistenza. I tre giorni trascorsi con lei nella casa di riposo del monastero hanno dato a Sarah Boutin la possibilità di avvicinarsi a un tempo di serenità: gli stati di contemplazione, il silenzio e le preghiere alle quali ha assistito le hanno fatto desiderare di comprendere la vocazione di sostegno, cura e assistenza di questa comunità.

Il progetto Merci pour ton agréable visite, les jolies fleurs et les délicieuses fraises (il titolo è in francese) nasce da questa esperienza. Di scoperta, di conoscenza, di riflessione. Dalle attività e dalle preghiere che scandiscono le giornate. Dai piccoli gesti che vanno dritti al cuore. Le mani, il candore, i colori di una vita piena, profonda, autentica. Così è iniziato un lavoro fotografico, sviluppato per più di due anni con un approccio che si può definire "poetico-documentaristico", nelle successive e regolari visite al convento da parte di Sarah. Le immagini che lo testimoniano le hanno permesso di creare un archivio della sorellanza. Fra le religiose. E anche sua con Jacqueline e le altre sorelle. Come un'amicizia che si rinnova, in forme diverse, a distanza di tantissimi anni da quella che aveva vissuto la nonna.

Un lavoro in mostra per la prima volta in Europa e in Italia, a Lecce, a Palazzo Scarciglia, sotto la curatela di Edda Fahrenhorst e Veronica Nicolardi, in collaborazione con ArtWork, in occasione della terza edizione di Yeast Photo Festival (fino al 3 novembre, fra il centro di Matino e il Salento) con il titolo “From Planet to Plate”: quindici progetti italiani e internazionali attraverso i quali i fotografi puntano l’obiettivo su sistemi di produzioni, filiere, consumi, abitudini, che stanno alterando sempre di più il complesso rapporto tra uomo e ambiente. Quello di Sarah Boutin è uno dei lavori più raffinati e intimi. Perché parte dal valore del nutrimento, nel senso più personale e alto per l’uomo, quello dell’anima. “Il mio è un progetto che affronta il tema del dolore e al tempo stesso del nutrimento – lo ha spiegato la fotografa, intervenendo all’apertura della mostra - nutrimento che non si riferisce solo al cibo, ma a come sosteniamo la nostra anima in un momento di dolore e lutto. Il monastero - ha aggiunto - è un luogo di contrasti. Al tempo stesso di quiete, contemplazione, come anche di risate. La vita delle sorelle, che hanno 80-90 anni, scorre lentamente, ma con gioia. Sono capaci di trovare la serenità tra morte e lamponi mi verrebbe da dire. Puoi vedere una sorella morente in una stanza e le altre che pelano carote in cucina. Un luogo quindi capace di tenere insieme la totalità della nostra vita, compresa la morte, con grande serenità”.

Una piccola storia per leggere e riflettere sulla grande storia e il nostro modo di stare al mondo. “Quest’anno – ha detto la direttrice artistica Edda Fahrenhorst – vogliamo porre una serie di domande importanti per stimolare a scegliere un consumo più responsabile. Che cosa avete mangiato oggi? Cosa c’è dietro al cibo che mangiamo. Da dove arriva? Vogliamo creare più consapevolezza sul cibo, perché il consumo di ciascuno di noi, può dare un contributo decisivo per contrastare il cambiamento climatico e per vivere meglio e in maniera più sana la nostra vita”. Una riflessione sul cibo che si sviluppa tra Lecce, Matino, Castrignano de’ Greci e Racale, valorizzando i borghi del Salento, attraverso un ricco programma che oltre alle mostre fotografiche, comprende talk, letture e appuntamenti musicali con artisti quali Malika Ayane, Pupillo dei Negroamaro e Arrogalla. “Il cibo - afferma la co-direttrice del Festival, Veronica Nicolardi - fa appello ai nostri sensi. È un’esperienza al tempo stesso collettiva e individuale. In questo senso ha molto in comune con la fotografia, che connette, unisce, divide ed emoziona”. E riesce ad affrontare temi così grandi, con la poesia delle piccole storie. Dei piccoli gesti. Con il candore di una tovaglia di lino e un pugnetto di lamponi. In un convento del Québec. Dove il nutrimento è per l’anima.

Una foto e 806 parole.