Si parla di “educazione affettiva” dei giovani e si ripete una tale formula come se fosse chiaro che cosa significhi e come praticarla. Ma è la stessa “educazione”, concetto e pratica, a essere un termine svuotato di contenuto. Quando e dove cominciare? In famiglia? A scuola? Noi adulti che oggi parliamo dell’urgenza di una educazione affettiva, noi genitori, insegnanti, giornalisti e intellettuali, sappiamo ancora di che si tratta? Qual è il problema e come affrontarlo? Non sono proprio gli adulti di oggi a non avere educato affettivamente né in famiglia né a scuola i loro figli, il cui comportamento e modo di essere ora li scandalizza e li addolora? Che cosa è oggi la scuola? Lo sanno bene gli insegnanti. E all’università ci si educa? Esiste una comunità studentesca come mezzo secolo fa? Esiste una vera vita familiare? La prima cosa che viene in mente è l’incapacità di parlare, di parlarsi e riflettere gli uni di fronte agli altri. E poi: come si insegna una cosa straordinariamente complessa come l’affettività? Le psicoterapie si sono enormemente diffuse nell’ultimo mezzo secolo. Si va dallo psicologo già per i primi, elementari problemi di figli che hanno meno di dieci anni. Gli stessi genitori in quanto genitori e i coniugi in quanto coniugi vanno in psicoterapia. Non sarà che gli psicoterapeuti hanno fallito nel corso di mezzo secolo? Si è pensato e detto, in parte giustamente, che Freud è stato un secolo fa il fondatore di un nuovo e più scientificamente moderno umanesimo. Ma oggi che ne è della psicanalisi e della cultura di psicologi e psicoterapeuti? Le terapie della parola sono lunghe e complesse; ma noi abbiamo sempre più fretta, vogliamo tutto subito; e allora invece di parlare e parlarsi si prende una pillola. La fretta, l’impazienza e la velocità ci stanno distruggendo. La nostra è da tempo una socialità profondamente alterata da psicofarmaci, droghe, social media. Ma ormai (bisogna dirlo e non viene detto perché ci sono di mezzo giganteschi interessi economici) la prima, più diffusa e inarrestabile droga che dà assuefazione è la tecnologia comunicativa. Ha catturato psiche e mente. Ci ha rubato l’anima. Si comunica con la tastiera e non si parla. L’intera vita è digitalizzata. Succede in famiglia, a scuola, fra amici, fra insegnanti e psicologi. Ecco: i due adolescenti che sono o si credono innamorati se ne stanno seduti l’uno accanto all’altro fissando un display e digitando freneticamente su una tastiera. Naturalmente muti.
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