Arvo Pärt ha un dono davvero speciale: la capacità di portare la musica fuori del tempo, oltre una dimensione puramente contingente, di recuperarla da una memoria inconscia per liberarla e fissarla in uno spazio metafisico. Riconsegnandola sempre a un ambito familiare, a un universo sonoro prossimo al cuore delle nostre radici, evocato dall'eco di canti gregoriani e di monodie arcaiche che richiamano la vita delle prime comunità cristiane. Una musica che non esula però mai dal presente e dalle sue contraddizioni, nell'assecondare l'instabilità e la frammentazione, l'insicurezza e la domanda di significato propria dei nostri giorni. Tutto questo, e molto altro, emerge dalla Passio Domini Nostri Jesu Christi secundum Johannem, che il compositore estone (classe 1935) ha ultimato nel 1982. Si tratta di una delle più significative creazioni sacre della seconda metà del secolo scorso; un lavoro che richiede un ascolto "religioso", cioè aperto, attento e dedicato, un cammino da intraprendere con la volontà di capire e la disponibilità a essere cambiati.
Il cd Passio (pubblicato da Naxos e distribuito da Ducale) ce ne offre un'interpretazione di sicuro riferimento, realizzata dagli esecutori seguendo alla lettera ogni indicazione della partitura, grazie anche a un serrato confronto con lo stesso autore. Onore e merito dunque al direttore inglese Anthony Pitts che, alla guida dell'ensemble Tonus Peregrinus, ha conferito all'opera di Pärt un equilibrio davvero esemplare; tra la sezione corale e quella strumentale, tra il quartetto vocale che impersonifica la figura dell'Evangelista (sempre accompagnato da violino, violoncello, oboe e fagotto) e gli interventi di Gesù (l'ottimo basso Robert MacDonald), riverberati come in un alone luminoso dal suono dell'organo.
Il testo della Passione, in lingua latina, segue versetto dopo versetto i capitoli 18 e 19 del Vangelo secondo Giovanni e costituisce la struttura portante all'interno della quale ogni elemento trova il proprio spazio adeguato: nell'apparente immobilità di un flusso ininterrotto di note e nella rituale ripetizione di formule stilistiche ed espressive, dove anche i momenti di silenzio acquistano una forte valenza comunicativa. Per celebrare la profonda portata simbolica, senza tempo, del sacrificio di Cristo.