Spesso non ci si pensa. Tendiamo a ignorarlo o dimenticarlo, ma una delle ragioni, anzi la ragione più forte per la quale l'Italia non gode e difficilmente potrà mai godere, soprattutto in Europa, di fiducia politica, è che qui sono nate e non smettono di prosperare e dominare le più forti, note, radicate e invasive organizzazioni criminali del mondo. In Sicilia, in Calabria, in Campania, in Puglia le società locali hanno dato vita ad analoghe e differenziate forme di crimine organizzato, che non sono affatto contenute entro limiti regionali, ma si sono immancabilmente espanse sia nel resto dell'Italia che in Europa, negli Stati Uniti e più recentemente in accordi con il narcotraffico dell'America latina. Non mi sono mai interessato a queste cose e manco perfino della più elementare informazione in proposito, cosa in fondo piuttosto diffusa fra gli intellettuali e nella cultura. Si tratta di una vera e propria rimozione dovuta a comprensibile ripugnanza. Ma lo straordinario successo internazionale di uno scrittore come Roberto Saviano rivela che ci si interessa all'Italia soprattutto quando si tratta o del nostro Rinascimento o della nostra famosa criminalità. Del resto, già un film come Il padrino del regista italo-americano Francis Ford Coppola (“coppola” è anche il nome del tipico e tradizionale cappello del mafioso) deve la sua fama alla narrazione ambiguamente, deplorevolmente epica della mafia in America. Coppola ha fatto un bel regalo ai mafiosi costruendone il mito con le suggestive facce di attori straordinari come Marlon Brando, Robert De Niro, Al Pacino e con la malinconica colonna sonora del film, che attribuisce ai mostri mafiosi un'interiorità delicata e complessa che certo non hanno. Perfino Leonardo Sciascia, denigrando quelli che definì «i professionisti dell'antimafia», fece il grave errore di diffidare dei migliori magistrati che combattevano a rischio della propria vita il crimine in Sicilia. Recentemente la televisione ha dedicato al fenomeno alcune lunghe trasmissioni rievocando le stragi che hanno colpito fra il maggio e il luglio 1992 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, protagonisti della lotta alla mafia che lo Stato non ha saputo (voluto) sostenere e proteggere abbastanza. Non sono certo stati le sole vittime. Tutti noi italiani, intellettuali, scrittori, sociologi, giornalisti e politologi siamo informati di tutto questo. Eppure troppo spesso siamo portati a non mettere nel conto dei nostri ragionamenti politici, culturali, economici l'enormità del problema per la sorte dell'Italia. La criminalità organizzata continua a segnalarci come il paese più malato e più inaffidabile dell'Unione Europea.