Può accadere che la nostra preghiera non ci piaccia. Che la preghiera che siamo capaci di fare sia una conversazione fatta di monosillabi, di frasi spezzate, piene di ellissi; una povera orazione incastrata fra andate e ritorni, sempre con il cuore mezzo in fuga, in questa frenetica quotidianità che non concede tregue. Può succedere che quella che abbiamo da offrire al Signore sia una preghiera fatta più di sguardi che di discorsi, piena di suppliche in mezzo alle fiamme lanciate come un SOS, imbastita di frammenti, di gesti nervosi a cui non diamo il tempo necessario per crescere; una preghiera sconnessa come un viaggio senza meta; un pasto fatto solo di briciole; una linea punteggiata tutta di intenzioni rimandate a più tardi; un’agitazione che dovrebbe trasformarsi in ascolto, ma al quale non perveniamo quasi mai. Può accadere che quella che portiamo nelle nostre mani sia ancora una preghiera scolastica, ripetuta come versi mandati a memoria o come le tabelline; una prece fatta di formule che ricostruiamo senza permettere che fioriscano e si prolunghino in noi. Una preghiera dopo tanti anni, ancora acerba; ancora incerta e zigzagante, che ancora avanza per i giorni inciampando, anche se Dio non smette mai di stare con noi. È bello sapere che la nostra preghiera insoddisfacente, per non dire deludente, Dio sa trasformarla in una corda tesa che ci collega a lui.
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