Chi siamo noi per pretendere di possedere, di controllare, di imporre? Non nasciamo forse tutti “nudi” e “nudi” torniamo nel grembo d’amore che ci ha concepito e ci ha donato la vita? Il grido universale di Giobbe risuona con questi accenti esistenziali e ancora oggi ci scuote dal profondo: la parabola del giusto punito che accetta la sorte, nella consapevolezza che tutto, proprio tutto di ciò che abbiamo è donato, è icona del cammino personale di ognuno di noi. «Il Signore ha dato e il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore», dice Giobbe di fronte alle immani disgrazie che improvvisamente gli hanno portato via ogni cosa, ogni affetto. Facciamo fatica a capire e accettare le sue parole, anzi troviamo quasi scandalosa la sua reazione, eppure egli è portatore dell’unica saggezza che può salvarci dalla nostra stessa caducità. La storia di Giobbe, ricchissimo patriarca che perde tutto a causa di Satana, il quale spinge Dio a mettere alla prova il suo fedele, è narrata nel libro dell’Antico Testamento che porta il suo nome. Ma Giobbe sceglie la via della fiducia e si affida nelle mani di Dio, sfidando così la logica del mondo. Perché il giusto soffre? Ci chiediamo? La risposta forse è che nella fiducia, nell’amore sta la cura ad ogni nostra ferita. E poi nel finale sorprendente del racconto: di fronte alle avversità estreme patite Giobbe si apre finalmente alla «prospettiva di Dio»: la sua ricchezza riguadagnata, in fondo, è il segno di una capacità di cogliere lo sguardo divino sulla propria vita.
Altri santi. Santi Alfio, Filadelfio e Cirinio, martiri (III sec.); san Giovanni d’Avila, sacerdote e dottore della Chiesa (1499-1569).
Letture. Romano. At 15,1-6; Sal 121; Gv 15,1-8.
Ambrosiano. At 15,36–16,3.8-15; Sal 99 (100); Gv 12, 20-28.
Bizantino. At 13,13-24; Gv 6,5-14.
t.me/santoavvenire