La normalità dell'imperfezione
Tracciare una linea di demarcazione precisa tra ciò che è “normale” e ciò che è “patologico” non è mai facile, ma la difficoltà aumenta in modo esponenziale in età evolutiva, quando la persona è in formazione e dunque gli aspetti biologici e quelli ambientali (relazionali ed educativi) si intersecano e si influenzano di continuo con feed-back di reciprocità circolare. Troppo spesso oggi il confronto con le difficoltà della crescita dei figli sembra suscitare nei genitori dolorose sensazioni di fallimento e dubbi sulla propria capacità, accompagnati anche dalla preoccupazione di trovarsi di fronte a qualcosa di patologico. Credo che sia stato perso per la strada un concetto fondamentale: quello della normalità dello sviluppo. Chi è, com'è, come cresce un bambino e un adolescente “normale”?
In un soggetto che sta crescendo la parola “normale” significa in primo luogo “in evoluzione”, e dunque inserito in un percorso che prevede avanzamenti e cadute, successi e difficoltà, soddisfazioni e frustrazioni sia per lui che per i suoi genitori. Significa che ognuno cresce con modalità e tempi diversi, e che chi sta crescendo è, per definizione, incompiuto e dunque non perfetto; proprio per questo qualche volta può essere anche insoddisfatto e scontento, e molte volte può essere difficile da gestire. I bambini di oggi, invece, non possono più permettersi il lusso di crescere, e dunque di essere infelici e/o fastidiosi quel tanto che la vita ha sempre reso infelici e/o fastidiosi talvolta i bambini. Lo smarrimento dell'idea di percorso e della percezione serena della normalità dell'imperfezione mi sembra oggi un problema centrale, che ha conseguenze profonde e complesse sulla relazione educativa e può aprire la porta (questa volta davvero) all'emergere e strutturarsi di vere patologie o almeno di profonde insicurezze e fatiche esistenziali.
La patologia psichiatrica e neuropsichiatrica, purtroppo, esistono davvero, ma la loro diffusione, probabilmente, non è così in aumento; molte delle difficoltà nelle quali ci si imbatte con i figli (la parte quantitativamente più importante) riguarda piuttosto la fatica di crescere, che richiede agli adulti di riprendere in mano con sicurezza il timone dell'educazione e della relazione, ma che non configura di per sé una vera patologia. Nel rapporto genitori-figli è difficile separare in modo netto gli aspetti educativi da quelli psicologici, perché si tratta di due livelli che procedono insieme e si intersecano tra loro; potremmo dire che gli aspetti psicologici costituiscono lo sfondo relazionale sul quale si costruisce il rapporto educativo. Ma avere un buon rapporto con i propri figli ed educarli non sono imprese impossibili: forse è davvero venuto il momento di riscoprire che diventare genitori porta con sé una serie di potenziali competenze buone, che dobbiamo certamente sviluppare, ma che sono lì a nostra disposizione.
Il bambino che nasce porta in dote una assoluta fiducia verso la persona che si prende cura di lui. Questa fiducia così totale, questo essere così inermi e bisognosi di tutto, è ciò che può attivare in noi quel senso di responsabilità che ci rende adulti. La natura ha previsto nell'età dello sviluppo un eccezionale potenziale di salute e una incredibile capacità di adattamento positivo; la maggior parte dei nostri inevitabili errori non è destinata perciò fortunatamente a produrre le tragedie che temiamo. È la nascita di un figlio a farci genitori. Noi dobbiamo fare del nostro meglio per amarli ed educarli, ma soprattutto non dobbiamo dimenticare qual è il nostro compito fondamentale: non basta fornire competenze e strumenti per vivere; è necessario soprattutto trasmettere loro passione per la vita.