Rubriche

La natura e la metropoli, è una questione di sguardo

Lisa Ginzburg venerdì 26 aprile 2024
“Risvegliare un senso perduto della Natura per farne un nuovo senso comune” scrive Paolo Pecere in Il senso della Natura. Sette sentieri per la Terra (Sellerio , pagine 530, euro 19,00). Non potrebbe dirlo meglio. Con stessa intelligenza, l’autore trova modo, sotto forma di ipotesi, di trovare nel corso del libro soluzioni teoriche tali da ovviare a quella che avverte come assenza di senso profondo odella naturalità delle cose. Suggerisce come cercare strade (e ottiche) per arginare l’asfissiante onnipresenza della costante “artificialità” da cui siamo circondati. Si tratta, scrive, di provare a riparare “il legno storto della mente umana” restituendole paesaggi non urbani, e intanto così articolando una sorta di cosmogonia. Ovvero, saper reperire quanto di naturale sta nascosto, ma sempre presente, dietro spaccati di città e altri agglomerati, dietro cemento, metallo, altri componenti di meccanicità industriale. Saper mettere in atto così un processo in cui davanti all’occhio dell’osservatore – occhio attento e preciso, molte volte in modo chirurgico – possa delinearsi e mostrarsi l’origine di quei manufatti urbani, la matrice di elementi della Natura che soggiace alle nostre visioni metropolitane, in ogni loro scorcio. Ritrovare “la linfa di luce, calore, acqua di cui si nutre la metropoli”. Ogni visione di città, viene da pensare, potrebbe e dovrebbe avere alle sue fondamenta il genere di sguardo di cui Pecere parla. Sarebbe un grande risultato. Recuperare prospettive che tornino a essere attente, argute, in nome dell’intenzionale ricerca di una (perduta) connessione con la Natura. Tutto il libro Il senso della Natura. Sette sentieri per la Terra ha sullo sfondo eco di stesso adagio, un canto di nostalgia di un tempo ormai remoto, dettato da climi, animali e piante, tempo stravolto dalla convulsa insensata corsa dei ritmi delle città. “Camminando di notte tra le file di un auto, tra lampioni che illuminano strade deserte, ho considerato spesso che il senso e il valore che diamo all’ambiente urbano è revocabile : quelle forme sono indifferenti, morte. In certe ore sembra tutto insensato, una costruzione che sta a noi tenere in piedi, o abbandonare. In città si può perdere ogni speranza. Invece camminando tra gli alberi, seguendo il fiume, o lungo il mare, tra i monti, ritrovo sempre il senso di un accordo col mondo”. Armonie perdute. Nel leggere questo libro ampio, dai cammini diversificati e aperti come fosse un viaggio, resta tuttavia nitida, e stimolante come un imperativo, la sua proposta di fondo. Tenere sempre ben chiara la necessità per la mente di soffermarsi su un’osmosi tra Natura e paesaggio urbano. Perché con l’osservare e ricostruire quanto di naturale sopravvive tra i nostri cementi, regaliamo ossigeno alle nostre città, ai nostri pensieri e alle nostre vite. Non bisognerebbe dimenticarlo. © riproduzione riservata