La modernità? È un caleidoscopio le cui facce spesso si contrastano
È vero. Il Sessantotto e gli anni che lo hanno preparato non solo erano uno sviluppo delle promesse (non mantenute) del '45, ma rilanciavano, magari fuori tempo e fuori misura, le culture rivoluzionarie, anarchiche, ribellistiche dell'intero Novecento. Nel Sessantotto sembrò attuale il marxismo rivoluzionario degli anni Venti (Lukács, Korsch), il radicalismo antiborghese dei surrealisti (Breton, Artaud, Bataille), la teoria critica antiautoritaria della Scuola di Francoforte (da Adorno a Marcuse): tendenze e idee che risalivano all'utopia estetica di Schiller, alla rivolta dei populisti e nichilisti russi del secondo Ottocento, alla violenza estetica e libertaria, individualista e superomistica di Thoreau, Nietzsche, Rimbaud, Bakunin. La parola-chiave fu Rivoluzione: il che portò negli anni Settanta a quella specie di leninismo settario, autistico e criminale dei gruppi terroristici, secondo i quali fra democrazia capitalistica e totalitarismo non c'è differenza.
Se questo è vero, perché allora non cominciare il discorso con la postmodernità anni Ottanta? Con gli ex giovani rivoluzionari diventati aggressiva avanguardia "yuppie" del nuovo Ceto Medio? Le modernità, come si vede, sono molte e nessuna muore del tutto.