Rubriche

La mitezza ci può salvare dall'ira che distrugge

Salvatore Mazza sabato 29 febbraio 2020
Le Beatitudini, ha detto una volta Benedetto XVI, «sono un nuovo programma di vita, per liberarsi dai falsi valori del mondo e aprirsi ai veri beni, presenti e futuri». Certo, se ci si pensa un attimo, e se ci si pensa alla luce di quella che non da oggi è secondo la mentalità dominante, la "ricetta" per avere successo nella vita, quanto proposto dalle Beatitudini è un programma da condannati alla sconfitta. Non dicono "beati i furbi, chi è capace di sgomitare, di fare la voce grossa, beati i prepotenti...". No, dicono invece: "Beati i poveri in spirito, i miti e i misericordiosi, gli afflitti, coloro che hanno fame e sete della giustizia, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati!". Parole, queste pronunciate da Gesù, che appunto «possono sembrare strane», come disse nel 2000 a Gerusalemme, parlando ai giovani, Giovanni Paolo II, perché «è strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: "Beati
voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!". Dette da lui che è "mite e umile di cuore", queste parole lanciano una sfida che richiede una metanoia profonda e costante dello spirito, una grande trasformazione del cuore».
Una trasformazione che non può che iniziare dalle piccole cose, dalla piccola e concreta realtà di ciascuno. Ce l'ha ripetuto mercoledì della scorsa settimana Papa Francesco, nel commentare la terza beatitudine "beati i miti". La mitezza, ha detto, «si manifesta nei momenti di conflitto, si vede da come si reagisce ad una situazione ostile. Chiunque potrebbe sembrare mite quando tutto è tranquillo, ma come reagisce "sotto pressione", se viene attaccato, offeso, aggredito? E la mitezza di Gesù si vede fortemente nella sua Passione». E ancora una volta attenzione: come non è un perdente, il mite «non è un codardo, un "fiacco" che si trova una morale di ripiego per restare fuori dai problemi. Tutt'altro! È una persona che ha ricevuto un'eredità e non la vuole disperdere. Il mite non è un accomodante ma è il discepolo di Cristo che ha imparato a difendere ben altra terra. Lui difende la sua pace, difende il suo rapporto con Dio e i suoi doni, custodendo la misericordia, la fraternità, la fiducia, la speranza. Perché le persone miti sono persone misericordiose, fraterne, fiduciose e persone con speranza».
La controprova? Bergoglio ha fatto, per questo, riferimento all'ira, «un moto violento di cui tutti conosciamo l'impulso. Dobbiamo rovesciare la beatitudine e farci una domanda: quante cose abbiamo distrutto con l'ira? Quante cose abbiamo perso? Un momento di collera può distruggere tante cose; si perde il controllo e non si valuta ciò che veramente è importante, e si può rovinare il rapporto con un fratello, talvolta senza rimedio. Per l'ira tanti fratelli non si parlano più, si allontanano l'uno dall'altro, è il contrario della mitezza: la mitezza raduna, l'ira separa. La mitezza invece conquista tante cose. La mitezza è capace di vincere il cuore, salvare le amicizie e tanto altro, perché le persone si adirano ma poi si calmano, ci ripensano e tornano sui loro passi, e si può ricostruire. Ma noi sappiamo invece che la "terra" da conquistare è la salvezza di quel fratello di cui parla lo stesso Vangelo di Matteo: «Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello". Non c'è terra più bella del cuore altrui, non c'è territorio più bello da guadagnare della pace ritrovata con un fratello. Quella è la terra da ereditare!». E dunque il programma di vita proposto dalle Beatitudini è, alla fine, fondato non sul ripiegamento ma sulla "buona battaglia", sulla scelta tra il bene e il male. Indipendentemente da quanto attrattive possano apparire le lusinghe del male.