La mia famiglia e i membri «acquisiti»
Non è facile accudire un malato come me, ridotto a un sacco di patate, bisognoso di essere aiutato in tutto, dalla a alla zeta, che non parla, che respira attraverso un tubo e attraverso un altro tubo mangia. Ci vogliono competenza e professionalità, e pure pazienza, tanta. Anche forse doti divinatorie, per capire un muto, quando per mille ragioni non posso usare il computer per comunicare. Io non credo di essere un malato "difficile", nel senso che cerco di chiedere il meno possibile, purtroppo è la mia malattia a chiedere tanto, a volte in continuazione. E poi bisogna anche aver presente che non esistono due malati di Sla uguali, ognuno è diverso dall'altro.
Io da questo punto di vista mi posso dire fortunato. Le infermiere che a turno mi seguono per due ore ogni mattina – Paola, Sonia e Valentina –, così come Cesare, Fabrizio, Francesco e Roberto (loro mi accudiscono ormai da quattro anni, e anche loro a turno lavorano con le infermiere), di professionalità e competenza ne hanno da vendere. Ma come le tre signore dell'assistenza diurna, dalle 10 alle 20 (e per tre notti a settimana anche di quella notturna), ci mettono anche un'umanità che non è per niente scontata. Se non fosse che un po' mi vergogno, parlerei anche di affetto, perché è questo che sento. Tutte quante queste persone sono – anzi siamo, visto che ci sono anch'io, mia moglie e le nostre figlie – su una chat di Whatsapp (guarda caso chiamata Slalom). Quasi una famiglia. Buona estate, ci rivediamo a metà settembre, spero.
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