LA METAMORFOSI
Molti avranno riconosciuto in queste righe l'avvio di uno dei racconti più famosi (e sconcertanti) del Novecento, Die Verwandlung, «la metamorfosi» (1916) di Franz Kafka. La storia è nota. Un commesso viaggiatore si sveglia dopo una notte di incubi e si ritrova trasformato in un ungeheuren Ungeziefer, un insetto enorme e mostruoso. Ripugnante per i suoi stessi familiari, si rassegna a sparire sotto il letto, nutrito di rifiuti e compatito solo dalla vecchia domestica. Un giorno, però, attratto dal suono del violino di sua sorella Grete, osa farsi strada tra i suoi familiari: il padre, però, lo sorprende e gli scaglia contro una mela. Gravemente ferito, ripara sotto il suo letto ove muore poco dopo. La serva, pur commiserandolo, lo getta nella spazzatura. Si chiude, così, una parabola surreale e allucinante, che è anche un'amara rappresentazione di un'esistenza degradata che non incontra pietà né redenzione.
L'abbiamo riproposta per un'ulteriore finalità rispetto a quella un po' enigmatica e dura intesa dall'autore. Ci sono momenti della nostra vita in cui ci sentiamo vermi, come si è soliti dire. Ed è forse giusto che si provi questa sensazione soprattutto quando la sequenza delle colpe si è ingrossata, il cuore si è indurito e abbiamo compiuto gesti vergognosi. C'è, però, anche il dramma di chi precipita nell'abisso della depressione e si sente prostrato e avvilito, disperato e abbandonato. C'è, infine, chi è considerato un insetto dalla brutalità altrui, oggetto di un disprezzo aggressivo, incapace di autodifesa. Sono, quindi, molte le iridescenze della «metamorfosi» negativa. Non dimentichiamo, però, che questo termine è in greco quello che descrive anche la «trasfigurazione» di Cristo! C'è, dunque, anche per noi un'altra «metamorfosi» luminosa.