La maledizione del Congo, così ricco e depredato
Quasi sessant'anni fa, nel 1960, il continente africano si avviava verso quella che doveva essere una nuova era. Nessun cittadino nero aveva ancora avuto accesso a una università, quando si "smantellarono" le colonie bianche per dare corso al cammino per l'indipendenza nera. L'Africa di quel tempo, a sud del Sahel, registrava un livello di sviluppo eguale ai Paesi asiatici. Come la Corea del Sud, oggi ai primi posti al mondo per capacità industriale. Non esistevano guerre etnico-tribali e neppure crisi alimentare con il conseguente esodo dei popoli. Purtroppo, di quel cammino verso la libertà si fecero cannibali i patriarchi del partito unico, avide élite di affaristi e sergenti, poi fattisi generali o imperatori, dediti al monopolio della forza e del denaro. Nuovi negrieri, ovviamente con l'assistenza di chi, intanto, diceva di volersi liberare delle colonie. I nuovi cannibali arricchivano i loro conti in banca, svendendo risorse, e per contro si spalancavano le porte all'"afrodisastro".
Già da quando si chiamava Zaire, l'attuale Repubblica democratica del Congo era nota – dal 25° meridiano terrestre, viaggiando verso Est, passando per la città di Kisangani, fino alla regione dei Grandi laghi e dei vulcani – quale "scandalo geologico". Ho visitato spesso questo grande Paese, esteso più di un quarto dell'intera superficie dell'Europa continentale, sette volte l'Italia, potenzialmente tra i più ricchi al mondo, ma malato di tutto.
Viaggiare significava doversi trasferire sulle ali di vecchi "Douglas Dc-3" aerei degli anni Quaranta, perché, altrimenti, per coprire 500 chilometri di "non strade" e raggiungere la Provincia orientale di Kisangani, occorrevano almeno tre pesanti settimane in fuoristrada. Ponti, strade, infrastrutture, tutto divorato da incuria e abbandono, dove spadroneggiavano le bande armate. Si volava per chilometri sopra lussureggiante e pregiata foresta, segnata da una fitta ragnatela di corsi d'acqua, laghi, acquitrini e, soprattutto, dal grande padre, risorsa per genti che ancora cacciano con arco e frecce: sua maestà il fiume Congo, con i suoi 4.700 chilometri di acqua e, dunque, di vita.
Ma è proprio sotto una fitta vegetazione che si nasconde la maledizione che ha segnato la vita dei popoli del Congo a causa dei giacimenti di cobalto, columbite e tantalio, niobio, tungsteno, manganese, uranio (usato anche per la bomba atomica americana sganciata sulla città giapponese di Hiroshima). E poi diamanti, oro, argento, rame, stagno, zinco. E ancora il petrolio e i gas minerali, questa volta nella pancia del Sud Sudan. E poi foreste disboscate per legnami pregiati.
Ambite risorse da depredare, molte ancora da scoprire. Smisurate potenzialità, distribuite su un territorio ancora non del tutto scandagliato. Ma da decenni causa e contenzioso di questa terribile odissea di guerre, violenze, stupri, fame, malattie e povertà che negli anni hanno violato e ucciso milioni di vite innocenti. Per la prosperità di altri.