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La madre di Picasso e il dono nella grotta

Gloria Riva giovedì 16 febbraio 2017
Un recente e discutibile Convegno organizzato a Bologna lo scorso 10 febbraio aveva il titolo allusivo Essere Madre: desiderio o dovere. Il tenore del Convegno, alla fin fine, verteva sulla maternità surrogata che, pur essendo pratica vietata dalla legge 40, continua imperterrita a rimbalzare sui media come baluardo di civiltà. Colpisce il logo usato per pubblicizzare l'evento: la celebre tela di Picasso intitolata Madre e Figlio, eseguita dall'artista in pieno periodo blu e cioè nel 1902.
Proprio 100 anni fa (era il 17 febbraio 1917) Picasso visitava la nostra terra: Roma, Napoli, poi Firenze e Milano, invaghendosi di una ballerina, Ol'ga Chochlova, che sposerà l'anno dopo a Parigi. Questo amore (come altri precedenti) lenirà l'antico dolore dello Spagnolo per la morte violenta dell'amico Carlos. Sedici anni prima, infatti, in uno stesso 17 febbraio (1901), il poeta e pittore Carlos Casagemas, si suicidò con un colpo di pistola a causa dei continui tradimenti della sua compagna, Germaine Pichot. Tutto, allora, per Picasso si colorò di blu e il tema della maternità ritornò ricorrente, ad esorcizzare il dramma della morte.
Un'affermazione emersa all'interno del Convegno, a sostegno delle tesi che giustificherebbero la pratica dell'utero in affitto, riguarda la radice sanscrita della parola Madre che, secondo alcuni studiosi, significherebbe non colei che genera, ma colei che educa e predispone alla vita. Una spiegazione del tutto opinabile poiché la radice “ma”, in sanscrito, è comune ai termini madre, mamma, mucca, vacca e rimanda alla materia dalla quale la realtà prende forma (matr: matrice).
Non si capisce che cosa possa avere in comune l'immagine di chi presta l'utero con questa possente e drammatica Madre di Picasso la quale, immersa nell'oscurità di una grotta difende strenuamente, con l'abbraccio, il vero tesoro della sua vita: il figlio. Come si evince da un'altra tela di Picasso del 1903 (La vita), il blu rappresenta nell'intento dell'artista il dolore sconfinato provocato da un mondo che si accanisce contro i valori più grandi, come la maternità e il matrimonio, la violazione dei quali avevano portato l'amico al suicidio. Nel nostro dipinto, il bimbo, dallo sguardo triste e dal pallore mortale, si sente protetto dall'abbraccio materno. La madre d'altro canto, pur nel dramma di un'impossibilità a difendere il figlio, reca stampata sul volto un'espressione dalla dolcezza disarmante. Non è escluso che l'artista spagnolo scorgesse in questo figlio l'amico suicida, nel desiderio estremo di vederlo consegnato a quella pace che solo una donna così, veramente madre e pronta al dono di sé, può offrire. Benché negasse Dio e avesse un rapporto conflittuale con la donna, Picasso non seppe trovare altra parabola per esprimere l'idea della salvezza che quella raggiunta da un figlio con l'abbraccio di una madre, dentro una grotta. La grotta, non è causale, è la matrice, la cava da cui è tratta la materia. Così come la madre non è causale, provvisoria, ma è il miracolo di un impasto di amore e di materia, di pulsioni e d'incontri amorosi, entro il quale si forgia l'uomo, il suo carattere e la sua unicità. Fa impressione come un uomo sicuro di sé e dominatore, per nulla incline all'esame di coscienza, avesse provato profondo rimorso per la morte dell'amico, essendo stato con tutta probabilità uno degli amanti della bella Germaine. Le verità del cuore si fanno strada sempre, a dispetto di una cultura che tende a teorizzare comportamenti innaturali. Lo testimoniano anche artisti dalla laicità insospettabile, come appunto il grande Picasso, che del blu e della madre ha fatto la parabola del dolore e della nostalgia di Dio.