La lunga marcia (provvisoria) dell'inno di Mameli
Qualche lettore penserà di sicuro che la decisione della Camera debba essere archiviata come "curiosità da cruciverba", o che sia semplicemente un atto formale. Non è così, a mio avviso. Nell'era dominata dal globalismo e dalle spinte centrifughe che rischiano di far implodere i singoli Stati europei, l'inno nazionale ha un significato che va ben oltre quello della memoria. È uno dei pochissimi elementi riconosciuti e riconoscibili dell'identità nazionale e dei suoi valori, capaci di superare i limiti del tempo e dello spazio. «Mai come oggi hanno senso le parole scritte dal giovane eroe risorgimentale», ha commentato non a caso Giorgia Meloni, leader di quel partito (Fratelli d'Italia) che ha voluto richiamare l'inno nazionale sin nel suo nome.
È vero che la "marcetta" di Novaro e Mameli non ha mai goduto di particolari apprezzamenti sul piano musicale: troppo "facile" lo spartito sul piano tecnico, almeno rispetto ad altri inni nazionali frutto dell'impegno di compositori del calibro di Mozart, Haydn, Gounod e Nordrask. Ma il suo testo contiene messaggi di coraggio, di speranza, di disponibilità al sacrificio, di "doverismo" che sono ancor oggi - e ancor più per i nostri millennials - di straordinaria attualità. In più si ispira alla dimensione del "sogno", evocando una Patria che allora non c'era e sembrava poco più di un'astrazione intellettuale. Una dimensione che oggi sembra scomparsa dall'orizzonte della politica. E che varrebbe la pena recuperare rapidamente, con la sua forza inclusiva, per evitare che la campagna elettorale alle porte si riveli per gli elettori la più "triste" e la meno coinvolgente della storia repubblicana.
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