Rubriche

La "Luce della montagna" che ci fa vedere alto

Giuseppe Matarazzo martedì 18 aprile 2023

Vittorio Sella (1859-1943, Martin Chambi (1891-1973), Ansel Adams (1902-1984), Axel Hütte (1951). Quattro fotografi di tempi diversi che raccontano la montagna, la sua bellezza e le sue genti a diverse latitudini, dalle Alpi alle Ande. La interpretano dagli ultimi decenni dell’Ottocento, praticamente dagli albori della fotografia, fino ai nostri giorni. Una fotografia che punta in alto per raccontare le vette come forse mai si è fatto. Il Museo di Santa Giulia a Brescia ospita, fino al 25 giugno, "Luce della montagna", curata da Filippo Maggia, prodotta dalla Fondazione Brescia Musei e da Skira (che edita anche il bellissimo catalogo che accompagna l’esposizione, pagine 192, euro 35), con il sostegno di Feralpi Group.

La rassegna è uno degli appuntamenti più attesi della stagione fotografica italiana e fiore all’occhiello del programma della VI edizione del Brescia Photo Festival, promosso da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Ma.Co.f - Centro della Fotografia Italiana, che propone una serie di iniziative nelle più prestigiose sedi espositive della città. "La mostra - dice Maggia - è un’escursione temporale per immagini di quattro grandi fotografi che dalle Alpi ci conduce al sistema montuoso del Caucaso in Eurasia, e da lì verso il Karakorum per poi allungarsi fino al Sikkim, al confine con Bhutan, Tibet e Nepal. Dalle vette himalayane a quelle africane, sul Ruwenzori, al confine fra Repubblica Democratica del Congo e Uganda, e ancora nel West americano dei grandi spazi, dentro il Parco nazionale Yosemite in California, per scendere infine in Sud America e concludersi sulle Ande peruviane".

Vittorio Sella, Monte Ushba al levare del sole dal monte Mesi ad ovest di Mazeri (Soanezia), 29 settembre 1890. - Courtesy Fondazione Sella, Biella

Centoventi immagini per restituire la "Luce della montagna". Il percorso si apre idealmente con 40 scatti del biellese Vittorio Sella (Biella, 1859-1943), vero precursore della fotografia di montagna, documentazione e bellezza, in tutto il mondo. "L’alpinismo, nella famiglia Sella, era diventato dal 1880 fino al 1890 - scriveva Vittorio Sella - una tendenza e una occupazione piacevole per molti giovani, anche per l’esempio e il consiglio di Quintino, ed io che avevo voluto unirlo alla fotografia, lo esercitavo più di tutti gli altri, con vera passione". Tra le particolarità, la rassegna bresciana ospita una fotografia di Sella scattata dallo stesso campo base dal quale Compagnoni e Lacedelli partirono per conquistare la vetta del K2 e che usarono per tracciare la via per salire in vetta. Di Martin Chambi, fotografo peruviano attivo nei primi decenni del secolo scorso, vengono presentate 40 immagini, appositamente stampate per l’appuntamento bresciano dalle lastre di vetro emulsionate originali, le stesse che venivano trasportate a dorso di mulo su e giù per le Ande, che restituiscono le prime vedute di Macchu Picchu, di Pisac, Kenko e Sacsayhuamán celate fra le Ande. Paesaggi ma non solo, perché Chambi puntava l’obiettivo sulla vita quotidiana delle popolazioni andine in un racconto etnografico dal valore inestimabile. Le 30 magnifiche fotografie di Ansel Adams (1902-1984), maestro statunitense tra i più celebrati del Novecento, esaltano invece la maestosità della natura, in particolare la nuova frontiera del West americano: una natura ancora incontaminata, quasi eroica, di grande respiro, dove le montagne dominano senza incombere, al contrario paiono proteggere l’uomo, guidarlo verso il futuro e il progresso. Ambientalista ante litteram, Adams affermava che "ogni giorno devo scrivere ai giornali per ricordare loro l’importanza dell’ambiente e della sua difesa". Chiude il percorso il tedesco Axel Hütte, 72 anni, che rappresenta l’evoluzione e la sintesi contemporanea di Sella e Adams. Allievo di Bernd e Hilla Becher, uno dei cinque protagonisti della cosiddetta Düsseldorf Academy, Hütte è un instancabile viaggiatore, grande camminatore e ciclista, perfezionista dell’immagine analogica, maniaco dei dettagli. "Quella di Hütte - fa notare Filippo Maggia - è una lettura architettonica della montagna, dei suoi volumi che si collocano nello spazio, sospesi fra terra e cielo, veri e propri monumenti naturali. Visioni alle volte fin inquietanti, dove le vette sembrano fantasmi che aleggiano sul nostro tempo, sempre più instabile e incerto".

Così la montagna ci costringe ad alzare lo sguardo verso l’alto, a riflette su chi siamo noi. Noi e il Creato, il pianeta che abbiamo ereditato e quello che vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi. La "luce della montagna", ma anche una montagna di luce che illumina il nostro andare. E ci regala una visione dell’infinito che ci mette in pace con il mondo.

Una foto e 713 parole.