Vocazione e resistenza è il titolo che Gianfranco Piacentini aveva scelto per un volume su David Maria Turoldo, pubblicato nelle "Letture" della Fondazione Vidas di Milano: «Due termini che esprimono e rivelano il mondo, la poetica, la "profezia" di Turoldo. Vocazione perché fino all'ultimo, chiedendosi se "ancora mi farei frate" si sentiva dire "non poteva capitarmi sorte migliore". Vocazione perché tutta la sua vita fu visitata dal dramma di Dio: e Dio fu la sua gioia e il suo dolore, la sua pace e la sua guerra. Accanto alla vocazione, la resistenza: come opposizione, nel nome dell'uomo e del Vangelo, a tutto ciò che emargina e crocifigge. Dunque, resistenza alle ingiustizie nel mondo. Anche all'interno della Chiesa». Già dalla sua prima raccolta, fin dal titolo Io non ho mani, si comincia al negativo; i non, o i loro equivalenti, si moltiplicano via via nei testi. Ma nella lotta con l'angelo del Nulla accade che riesca a divincolarsi, a puntellarsi a un appiglio, e allora "canta", come lui dice, canta il Tutto: «Essere nuovi come la luce a ogni alba…». In Mie notti con Qohelet afferma: «L'ideale di tutta la mia vita fu quello di scrivere e testimoniare tanto da fratello di chi crede, quanto da fratello di chi cerca». E l'ultimo verso del suo ultimo canto suona: «una selva sola, la terra, di mani».