La lotta di Julienne per le donne del Congo
Julienne Lusenge è stata minacciata, costretta per tre volte a cambiare città, la casa in cui viveva con il marito e i cinque figli distrutta. Ma lei non si dà per vinta: questa 64enne indomita pensa ancora che il suo Paese, la Repubblica Democratica del Congo, possa diventare un posto migliore per le donne e le ragazze.
All’inizio della sua avventura, a vent’anni, Julienne era una giornalista, lavorava per una radio comunitaria e girava per i villaggi dell’est del Paese, al confine con l’Uganda e più a sud con Ruanda e Burundi. I racconti delle donne non la lasciarono indifferente.
Bande di guerriglieri scorrazzavano nei villaggi, incendiavano e rapinavano, stupravano le donne e le bambine, le rapivano come trofei di guerra e per trasformarle in schiave. Julienne iniziò a raccogliere testimonianze, documentarle e cercare di gridare al mondo l’orrore che si consumava nella regione del Nord Kivu. Non lavorò a lungo da sola: nel 2000 nacque Sofepadi, Solidarietà femminile per la pace e lo sviluppo, che oggi raggruppa 40 associazioni di donne la cui principale attività consiste nell’assicurare assistenze medica, psicologica e legale alle donne vittime di abusi in territori di guerra.
Con gli anni nulla è cambiato, le violenze continuano nell’indifferenza del mondo, ma intanto la fama di Julienne si è allargata: ha scritto report per l’Onu, ha parlato al Consiglio di Sicurezza, ha trovato ostinatamente finanziamenti per decine di programmi per la riabilitazione e il reinserimento delle vittime. Julienne è una donna coraggiosa, e parlando via Teams con Avvenire non manca di denunciare le responsabilità del vicino Ruanda nell’armare le milizie che decimano i villaggi congolesi. Julienne con il suo lavoro ha assistito tra il 2010 e il 2020 ben 7.500 donne e assicurato alla giustizia 800 carnefici.
Ma il lavoro è ancora lungo. «Le storie che ho raccolto mi hanno segnata. Ho pianto quando una donna di 45 anni ha raccontata di essere stata abusata in modo atroce per tutta la notte da un comandante Mai Mai più giovane di lei, che voleva punirla per non aver voluto rivelare dove era il marito. Non dimentico una ragazza stuprata, strappata alla sua famiglia, ridotta a schiava e poi costretta a cucinare e mangiare carne umana». Lei stessa è traumatizzata da quello che ascolta e registra, e talvolta ha dovuto ricorrere alle cure di psicologici. «Se sei una ragazza nella Repubblica Democratica del Congo, sei esposta a discriminazioni e a violenza dei gruppi armati», dice sconsolata.
Ma come si può, da donna, resistere a tanta sofferenza? «Malgrado le difficoltà, la solidarietà che raccolgo in tutto il mondo e il sostegno di mio marito e dei miei figli mi spingono ad andare avanti. Dobbiamo continuare a far sentire la voce delle donne che non hanno nessuno a rappresentarle. Dobbiamo lottare perché le cose cambino e perché le nostre figlie e le nostre nipoti vivano in un mondo migliore e per questo mi batterò sempre». Julienne ha ricevuto onorificenze dall’Onu, dal governo francese e da quello statunitense.
Nel 2021 ha ottenuto l’Aurora Prize for Awakening Humanity e ha investito il premio da un milione di dollari in decine di progetti: «Abbiamo portato l’acqua nei villaggi, pagato cure ospedaliere per i bambini albini, rette scolastiche per gli orfani di guerra, sostenuto attività generatrici di reddito per le donne nel Nord Kivu. “Dobbiamo cambiare il destino del nostro Paese», ripete Julienne Lusenge.