Quando nell'enciclica «Caritas in veritate» Benedetto XVI introduce nel discorso sui rapporti economici la «logica del dono» compie un'operazione di grande importanza non solo per gli studi socio-economici, ma anche per una ridefinizione del welfare che, nella pratica, attualmente è in crisi sotto molti aspetti. Ne parla con riconosciuta competenza Stefano Zamagni in un capitolo del volume
Oltre la società degli individui. Teoria ed etica del dono, a cura di Francesca Brezzi e Maria Teresa Russo, recentemente edito da Bollati Boringhieri (pp. 224, euro 16,50). Zamagni, nella definizione di «Economia civile» che condivide con Luigino Bruni, ritiene che l'ordine sociale si regga su tre princìpi coessenziali: lo scambio di equivalenti (il mercato con le sue leggi), la ridistribuzione (operata dallo Stato attraverso destinazione delle entrate tributarie) e la reciprocità. Quest'ultimo principio, che è il più originale, ancorché di ascendenza aristotelica, non postula l'equivalenza fra quello che A dà a B e il corrispettivo che ne riceve (come nel contratto di compravendita), bensì A si muove verso B per aiutarlo in qualche modo (istanza di gratuità) e con l'aspettativa che B farà altrettanto in un tempo successivo. È quando avviene nelle relazioni tra genitori e figli, tra i soci delle cooperative, in varie associazioni di assistenza e di volontariato. In questo contesto la parola chiave è «fraternità», da non lasciare iscritta solo sulla bandiera della Rivoluzione francese, e che la «Caritas in veritate», rimette risolutamente in circolazione. Scrive Zamagni: «La solidarietà è il principio di organizzazione sociale che consente ai diseguali di diventare uguali; il principio di fraternità consente invece agli eguali di essere diversi". Insomma, il dono, la gratuità, non devono essere riservati alle relazioni private fra individui, ma possono assumere una rilevante valenza sociale.Pierangelo Sequeri, nello stesso volume, svolge acute considerazioni teologiche partendo dall'idea che «la grazia divina esprime il concetto di dono nella sua forma assoluta». E se la caratteristica speciale del «dono» è di «far circolare affetti, più che oggetti», troviamo ulteriori argomentazioni alla «reciprocità» di cui parla Zamagni, il cui aspetto essenziale è che «i trasferimenti che essa genera sono indissociabili dai rapporti umani»: è dunque l'uomo, e non solo l'
homo oeconomicus, al centro delle relazioni sociali. Da questi cenni si può intuire la ricchezza del volume di cui stiamo parlando, e che, introdotto da Francesca Brezzi, comprende anche saggi di Jean-Luc Marion, Giacomo Marramao, Mariapaola Fimiani, Ugo Perone, Elena Pulcini, Luigino Bruni, Paola Ricci Sindoni. Particolarmente apprezzabile il contributo di Maria Teresa Russo, intitolato «Donare il corpo: questione di solidarietà o di mercato?». Partendo dalla forte definizione di Gabriel Marcel, «io sono il mio corpo», l'autrice inquadra la questione dei trapianti in contesto antropologico: «Solo una prospettiva antropologica che si fonda sull'integrazione della dimensione somatica con quella psichica e spirituale, può dare ragione dell'unità dell'io ed evitare che l'essere umano diventi una soggettività che si serve di un corpo». Correttamente, infatti, l'art. 5 del Codice civile vieta gli atti di disposizione del proprio corpo, con l'unica eccezione della donazione di organi illuminata da quei legami familiari o affettivi, «che assicurano da una parte la gratuità, dall'altra un contesto in cui sono in gioco beni relazionali che contribuiscono a definire l'identità della persona stessa».