La lode di Auden agli animali: tra loro nessun Mozart ma neanche un Hegel
Nell'ultimo numero (128, febbraio 2011) l'editoriale è costituito da una poesia di Wystan H. Auden, tratta dalla sua ultima raccolta, Grazie, nebbia (1974). È una bella poesia, arguta come al solito, amabilmente solenne, ironica e appassionata, una specie di discorso pubblico pronunciato in privato, per un gruppo di amici o sodali o anime affini. Il suo titolo è: Address to Beasts, discorso alle bestie. La sua attualità e perenne: «Per noi che, dal momento / in cui veniamo al mondo / cadiamo in confusione, // che di rado sappiamo esattamente / che cosa ci stiamo a fare, / e in generale nemmeno ci teniamo, // quale gioia sapere, anche quando non vi si vede o sente, / che voi siete nei dintorni, // per quanto pochissimi di voi / trovate che siamo degni di attenzione, / a meno che non ci avviciniamo troppo»".
Una lode alle bestie in piena regola. Soprattutto per la loro sobrietà, «buona educazione» e senso del limite: cosa che a noi spesso manca. Loro infatti eseguono «con abilità e prontezza i disegni della Natura». Non sono presuntuosi, né supponenti e snob. Non mettono il naso negli affari dei loro simili. Se uccidono è per tenersi in vita, non per fare prodezze e cercare applausi. Che altro? Le bestie sono esenti da tasse, non scrivono opere letterarie, anche se a volte ispirano i poeti. Fra loro, è vero, non c'è nessun Mozart, ma neppure ingegni viziosi o maligni come Hegel e Hobbes. Gli animali come maestri di buon senso: è un'idea antica. Quanti dei nostri bambini si interessano ancora a loro?