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La lezione della Lazio e CR7 snob ingiustificato

Italo Cucci martedì 24 dicembre 2019
Quando ho sentito Lapo Elkann dire «Vergogna!» agli juventini sconfitti ho associato il pur immeritato (per durezza) rimprovero all'irreperibilità dei giocatori che avevano scritti sulle maglie i loro nomi in arabo, lingua che per abitudine tutta italica rappresenterebbe l'Incomprensibile. Si è giovato del travestimento linguistico anche Ronaldo, notato sul campo di Ryad soprattutto per il cerchietto in testa a tenere i boccoli. Se l'immagine non vi sembra eroica avete ragione: la Juve “all'arabata” era stanca, distratta, demotivata. L'ha confermato Sarri. De Laurentiis avrebbe immediatamente criticato e cacciato l'allenatore - come ha fatto con Ancelotti - perché i tre succitati difetti possono risultare solo da una preparazione sbagliata, fisicamente e psicologicamente, per responsabilità del tecnico. Critico Sarri, dunque, ma non dimentico CR7: ammesso - e concesso - che lui sia un fenomeno, non si può permettere di snobbare letteralmente un evento che avrebbe aiutato il sor Maurizio e la squadra a chiarirsi le idee senza drammatizzare. Ispirato dal crollo dei rossoneri a Bergamo mi viene da dire che con quella gente che ha Sarri potrebbe fare - c'era una volta - un bel Milan da scudetto e da Champions. Una squadra l'ha costruita da tempo Simone Inzaghi, al quale vorrei augurare una milizia laziale di almeno 26 anni, come Alex Ferguson all'United, perché se è già miracoloso aver lavorato un decennio con Lotito è ancor più meritevole di applausi la capacità di entrambi di convivere, collaborare, capirsi, scontrarsi e tuttavia trovarsi sempre lì con un impegno: lavorare per crescere. Il giovane Simone c'era già, alla Lazio, quando Lotito rateizzava i debiti, allontanava gli Irriducibili, sparava boutades allarmanti e tuttavia individuava giocatori di talento che sfruttava e cedeva, curando il bilancio. Fino a quando ha deciso di tenerseli, i Bravi Ragazzi, per cominciare a vincere. Sembrava impossibile, c'è riuscito. Alla Lotito. In senso buono. Come quando dice che Milinkovic vale uno sproposito e se lo tiene anche quando gli offrono un pugno di euro in meno. Lui è fatto cosí. Grazie a Tare, il miglior direttore sportivo su piazza - e in sede, nello spogliatoio, al mercato agisce come se fosse lui il presidente, avendo tuttavia grande competenza e senso della misura - Inzaghi ha messo insieme un gruppo eccellente illuminato da Luis Alberto e confortato dai gol di Immobile, dotando la squadra di titolari da panchina sempre pronti. Sciocco farselo rapire, salvo pensare di ricominciare da zero. Ma alla fine, lo spirito e i numeri tecnici che hanno permesso alla Lazio di colpire e affondare la Juve in due occasioni ravvicinate dice chiaramente che il calcio non è filosofia se non nelle tribune televisive dove molti perdenti nati spiegano il calcio ai vincitori. Com'è successo con Allegri. È un vezzo tutto italico, peraltro verificato, quello di non saper perdere. Ma diventa un dramma in Casa Juve, dove esiste solo la vittoria. All'anno che verrà.